Bernard Hinault Il campione ribelle che agiva d'istinto

Rivista Tuttobici Numero: 10 Anno: 2002

Bernard Hinault
Il campione ribelle che agiva d'istinto

di Gino Sala

Il lettore che ha la bontà di seguirmi in questa rubrica avrà notato che la mia attenzione è principalmente rivolta ai corridori dal passato modesto, che hanno vinto poco o niente, ma sicuramente degni di essere menzionati. Con ciò penso di rendere giustizia a coloro che tanto si sono sacrificati per i loro comandanti in cambio di poche lire e di modeste citazioni.
Esprimo questo pensiero nel giorno in cui, facendo per così dire un'eccezione, i miei ricordi si soffermano su quello che è stato un campione con la C maiuscola, di nome Bernard e di cognome Hinault.
È stato proprio lui a dirmi che i cronisti erano in colpa perché freddi, staccati da storie bellissime che riguardavano i gregari. Mi trovavo al seguito del Tour e avevo con me un orologio che a nome del giornale per cui lavoravo (L'Unità) dovevo consegnare al corridore che a fine competizione ci onorava con un commento scritto e firmato di proprio pugno.
«È il minimo che possiamo fare» mi aveva detto Franchino Cattaneo, indimenticabile capo del personale che non vedo da tempo e al quale trasmetto calorosi saluti.

Hinault apprezzò il gesto accompagnando la stretta di mano con una frase che è viva nella mia mente. «I francesi mi criticano, gli italiani mi premiano...».
Erano tempi in cui il bretone dominava nelle competizioni a tappe confermando il giudizio di Alfredo Martini che all'inizio della carriera professionistica gli aveva pronosticato un luminoso avvenire.
«Vengo incolpato di agire senza ascoltare i consigli del direttore sportivo, per esempio di uscire dal gruppo dopo pochi chilometri di gara. Non è sempre così, però trovo giusto e bello lasciarmi guidare dall'istinto e respingo le critiche che mi vengono mosse dalla stampa nazionale. Ribelle sono e ribelle voglio rimanere. In tutti i sensi e col confronto dei risultati».

«Eh, sì: da voi mi osannano, in patria vanno a cercare il pelo nell'uovo. Tra i miei difetti avrei quello di non amare la Parigi-Roubaix ed è la verità perché si tratta di una corsa troppo pericolosa, dove una caduta può significare l'addio all'attività. Comunque disputerò la Roubaix con l'obiettivo della vittoria e poi basta perché insistere su quei maledetti sentieri potrebbe recarmi danni irreparabili».

Hinault è stato di parola, ha vinto la Roubaix del 1981 collocando il successo tra le sue 217 conquiste nell'arco che va dal '75 all' 86. Una pagella che gli assegna cinque Tour, tre Giri d'Italia, due Giri di Spagna, un campionato del mondo, due Liegi-Bastogne-Liegi, due Freccia Vallone e due Giri di Lombardia, perciò giù il cappello davanti ad un pedalatore del genere. Testardo, cocciuto, senza peli sulla lingua? Sì, e come dargli torto quando metteva in riga gli organizzatori del Tour, quando in segno di protesta per i numerosi e lunghissimi trasferimenti era alla testa del gruppo che negli ultimi cento metri scendeva dalla bicicletta e superava a piedi la linea del traguardo?

Un uomo di grande carattere in ogni sua esibizione, un ciclista che occupa un posto di primaria importanza nella leggenda del ciclismo, fortissimo e determinante per vari aspetti. Adesso lo vediamo sorridente ed elegante nello staff della "Grande Boucle" e direi che si è ammansito, ma sono certo che in cuor suo non accetta i voleri dei padrini del vapore, di Jean Marie Leblanc e compagnia, per intenderci. Ammansito dopo aver trasmesso valori che il gruppo di oggi non ha raccolto.
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