Laurent Fignon L'intellettuale che litigava con i secondi

Rivista Tuttobici Numero: 1 Anno: 2003

Laurent Fignon
L'intellettuale che litigava con i secondi

di Gino Sala

La prima volta che ho incontrato Laurent Fignon è stato in un lontano Giro delle Regioni che era e rimane una bella palestra per i dilettanti che vogliono entrare nel gruppo dei professionisti. Quel francese con gli occhiali aveva l'aspetto del ciclista, come dire?, intellettuale e non soltanto l'aspetto, come si è poi constatato. Ci siamo conosciuti meglio sulle strade del Giro e del Tour e di lui ho ricordi particolari uniti all'ammirazione per l'uomo che sapeva affrontare qualsiasi argomento con pacatezza e competenza.

Intendiamoci: non era un chiacchierone, uno che si buttava in tutti i discorsi, non andava in cerca dei cronisti per esternare i suoi pensieri, era al di sopra dei pettegolezzi, veniva attratto solo dalle questioni importanti.
Un parigino nato il 12 agosto del 1960, professionista dal 1982 al '93, robusto fiancheggiatore di Bernard Hinault prima di diventare campione, una mente che sapeva concretizzare le direttive di Cyrille Guimard, scopritore di talenti e abilissimo direttore sportivo.

Nello stato di servizio di Fignon spiccano i trionfi riportati in due Tour de France, in un Giro d'Italia e in due Milano-Sanremo. Due sono anche gli episodi impressi nella memoria del vecchio cronista. Uno è legato ad un Giro di cui mi sfugge l'anno, il Giro della rovinosa caduta di Laurent sotto una galleria completamente buia, senza un filo di luce. Caduta che è poi equivalsa ad un doloroso ritiro. Recandomi in albergo per verificare le condizioni del corridore infortunato, mi aspettavo le reazioni nei confronti di un'organizzazione peccaminosa e tante volte da me criticata per i suoi comportamenti nei riguardi dei concorrenti. Fignon invece mi ringraziò per la visita e non aggiunse altro.

Il secondo episodio si riferisce al Tour del 1989. Eravamo all'ultima tappa, alla crono che andava da Versailles ai Campi Elisi, cinquantaquattro chilometri e rotti con Fignon in maglia gialla e dai più indicato come vincitore finale davanti a Greg Lemond anche se tra i due la differenza era piccola, di poco inferiore al minuto. Cammin facendo il parigino sembrava al riparo dall'attacco dell'americano, ma da metà gara in avanti Lemond guadagnava via via terreno e al tirar delle somme faceva sua la Grande Boucle con 8" di vantaggio. Cosa sono 8" in termini di metri? Cento metri, forse meno, una sconfitta bruciante che aveva i riflessi nella faccia triste, molto triste di Laurent. Eh, sì: perdere un Tour in quel modo è come ricevere una coltellata alla schiena. Cinque anni prima lo stesso epilogo nel Giro vinto da Francesco Moser. Stesso epilogo perché alla partenza della tappa conclusiva che si sviluppava da Soave a Verona sotto il tic tac delle lancette, Fignon era al comando della classifica con un margine rassicurante e nessuno o ben pochi pensavano che l'italiano di Palù di Giovo avrebbe scalzato il transalpino. Invece con la trovata delle ruote lenticolari Moser realizzava il colpaccio precedendo l'avversario di ben 2'24". Quel giorno Fignon aveva qualcosa da ridire sull'uso delle lenticolari e su altre vicende. Non voglio togliere nulla a Francesco, però non posso dimenticare che la sua impresa era stata agevolata dai tanti amici che lo avevano protetto in salita, nei momenti più delicati, quando Wladimiro Panizza andava in testa per smorzare gli allunghi di Laurent e per imporre un ritmo tranquillo, favorevole al compatriota.
Eh, sì: tutto considerato qualcosa ha frenato Fignon nell'arco di una carriera che porta comunque il timbro del pedalatore capace di grandi conquiste.
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