Primo Mori

Rivista Tuttobici Numero: 11 Anno: 2003

di Gino Sala

Passato e presente mi riportano in quel di San Miniato, simpatico paese in provincia di Pisa, dove sono stato più volte, vuoi per affidarmi ai controlli del dottor Bertino Bertini, un medico che si è fatto apprezzare anche nell'ambiente ciclistico, vuoi per salutare Primo Mori e la sua famiglia, la moglie Mariella e i figli Massimiliano e Manuele. Una famiglia speciale, con un amore totale per lo sport della bicicletta e verso la quale sono portato a nutrire una profonda simpatia.

Il primo impatto risale a tanti anni fa, quando Primo è stato un corridore professionista, ruolo che ha occupato dal '69 al '75 indossando le maglie della Max Meyer, della Salvarani, della Sammontana e della Scic. Un buon aiutante, un gregario capace di vincere. Il più importante dei suoi quattro successi è quello realizzato nel Tour de France 1970, tappa di Gap con vittoria solitaria davanti a Wagtmans e Godefroot, staccati rispettivamente di 1'17" e di 2'30". Ricordo bene quel giorno per aver accompagnato il fuggitivo a colpi di clacson, un modo per sottolineare il mio entusiasmo e l'ammirazione per il ragazzo che aveva osato. Ricordo anche che superata la linea del traguardo Mori mi venne incontro per porgermi la bottiglietta di acqua minerale. Picchiava il sole e quel gesto non l'ho mai dimenticato.

Il Morino di San Miniato era un passista scalatore che si rendeva utile, direi prezioso per i compagni di squadra. Fisico sottile, altezza 1,78, peso 60 chili, un fondista che nella stagione del debutto tra i marpioni otteneva l'ottava moneta nel Giro d'Italia e che due anni dopo risultava il miglior italiano in campo nel Tour dove finiva in dodicesima posizione. Un pedalatore che in ogni circostanza dava il meglio di se stesso e chi ha la bontà di leggermi sa bene che io ho sempre provato e continuo a provare affetto per elementi del genere. C'è in loro un attaccamento alla disciplina preferita che produce una sana propaganda, che è tanta salute per il ciclismo. Ho visto in Morino un atleta gioioso, con gli occhi sorridenti anche nei momenti di fatica, cosa più importante di qualsiasi risultato, cosa che distingue e che merita un caloroso abbraccio.

Una famiglia speciale, ho detto, un quadretto dove sono ottimamente inseriti i due figli corridori (Massimiliano e Manuele) e una madre splendida e passionale, mi permetto di aggiungere, fidanzata di Primo quando aveva quattordici anni, prima compagna e poi moglie ideale per un ciclista. Può sembrare che sia andato un po' in là nel presentare l'ambiente, ma non c'è nulla di esagerato nella mia descrizione, c'è una donna orgogliosa e felice per i due rampolli che hanno seguito le orme del padre. Non conosco Manuele e mi limiterò ad alcune osservazioni su Massimiliano, professionista dal settembre '95, ventinove primavere compiute il primo gennaio, una sola vittoria, diverse occasioni sfumate sul più bello, a volte focoso, a volte tiepido, incostante nel rendimento perché scarsamente fiducioso nei suoi mezzi a parere della mamma, poco cattivo a parere del padre. Giudizi che vengono confermati da uno che lo conosce bene, Antonio Salutini. Ecco: «Massimiliano è in possesso di una classe cristallina. È bravo in salita e non è fermo in volata. Purtroppo non rischia a sufficienza, non si misura in azioni che potrebbero dargli la piena conoscenza delle forze. Via questo difetto diventerebbe un vincente...».

Vai Massimiliano. Sei ancora in tempo per esprimere le tue qualità. E qui giunto è chiaro che sono andato oltre il ritratto di Primo Mori. Senza pentimenti, anzi col piacere di aver illustrato i componenti di un nucleo che ha tenuto e continuerà a tenere alta la bandiera del ciclismo. I miei complimenti e il mio evviva.
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