Renato Laghi, gregario da favola

Rivista Tuttobici Numero: 3 Anno: 2005

Renato Laghi, gregario da favola

di Gino Sala

Ogni volta che metto piede in Romagna ho l'immenso piacere di incontrare Renato Laghi. Dico immenso perché mi trovo di fronte ad un uomo con un sorriso luminoso che è poi quello di sempre, quello che ha mostrato dal 1967 al 1979, vale a dire nel lungo periodo di attività professionistica. Perfetto e felice nella sua mansione di gregario, generoso, costante e tenace in ogni apparizione, una sola vittoria raccolta nel '77 sul traguardo di San Pellegrino a conclusione della tappa del Giro d'Italia e un'infinità di gare dove il suo comportamento è risultato determinante per il compagno di squadra più titolato, vuoi che fosse Vito Taccone, oppure Franco Bitossi o ancora Roberto Visentini.

Nonno Laghi, sessanta anni e due figli che gli hanno dato tre nipotini, appartiene a quella schiera di personaggi descritti nelle filastrocche dell'indimenticabile Gianni Rodari. Una di queste, apparsa recentemente su La Gazzetta dello Sport dice: Corridore proletario
che ai campioni di mestiere
deve far da cameriere
e sul piatto senza gloria
serve loro la vittoria.
Al traguardo, quando arriva,
non ha applauso, non evviva.
Col salario che piglia
fa campare la famiglia
e da vecchio poi si acquista
un negozio da ciclista.

Personalmente ho sempre gioito e continuerò a gioire quando un successo bacia la fronte di un gregario e non ho mai sopportato le smorfie dei cronisti delusi dalla mancata affermazione di un capitano. Non è un modo per rendere giustizia agli scudieri che raramente emergono, ma che sempre sono all'altezza del loro compito con prestazioni preziose, talvolta decisive per il caposquadra. Tornando a Laghi, ho saputo che nella sua carriera ha pedalato per seicentomila chilometri che gli hanno fruttato un guadagno modesto e cioè i quattrini per costruire una casetta. I tempi sono cambiati. Oggi Renato riceverebbe uno stipendio decisamente superiore e non per niente lavora per una società di servizi del Gruppo Banche del Credito Cooperativo. «Ciò mi dà modo di usare ancora la bici», confida il nostro amico. E poi: «Purtroppo devo constatare che per vari motivi il ciclismo è cambiato in peggio. Non c'è più l'ambiente di una volta, scarsa l'amicizia, scarsi i rapporti umani, una disciplina ricca di soldi ma povera di agonismo, corridori in sella per tre o quattro mesi e stop. Io ero impegnato da febbario a ottobre e dico chiaramente che non mi troverei a mio agio nel sistema attuale. Anche i percorsi hanno cambiato faccia. Dove sono finite le tappe storiche del Giro o del Tour? Ci sarà pure una ragione se il numero dei campioni è diminuito...».

Mi trovo perfettamente d'accordo con Laghi. Viviamo momenti che fanno rimpiangere il passato. Momenti di lusso che cancellano una santa povertà e una fantasia che era di tanti e che ora è di pochi, per colpa di dirigenti boriosi che con le loro manie di grandezza distruggono invece che costruire. I difetti cominciano nelle categorie minori e si ingigantiscono nella fascia superiore. È morto il ciclismo delle piccole società che insegnavano ai ragazzi come diventare uomini. Questa la triste realtà cui bisognerebbe porre fine.
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