Felice Gimondi, innamorato della fatica

Rivista Tuttobici Numero: 4 Anno: 2005

Felice Gimondi, innamorato della fatica

di Gino Sala

Ogni tanto ci vediamo, ci sentiamo e capita di andare indietro nel tempo. Il tempo di Felice Gimondi, bergamasco di Sedrina, figlio di una postina, nato povero e oggi un signorotto per aver messo a frutto i guadagni di una bellissima carriera ciclistica. Il Gimondi nato il 29 settembre del 1942, corridore professionista dal '65 al 1979 che debutta con un terzo posto nel Giro d'Italia e un mese dopo trionfa nel Tour de France.

Chi l'avrebbe mai detto: lui, partito per sostituire un compagno di squadra ammalato che conquistava il podio parigino con 2'40" su Poulidor e 9'18" su Motta. Il ragazzo che raccontandosi ai cronisti confidava che la sua casa non era munita di una stanza da bagno e tutti si lavavano in una tinozza. Poi una sequenza di smaglianti affermazioni, ben 140 vittorie tirando le somme: tre Giri d'Italia, un campionato del mondo battendo nella volata di Barcellona '73 Maertens, Ocaña e Merckx, una Parigi-Roubaix, un Giro di Spagna, una Milano-Sanremo, due giri di Lombardia, una Parigi-Bruxelles, due trofei Baracchi, due gran premi delle Nazioni, due gran premi di Lugano, due campionati italiani, eccetera, eccetera, eccetera e se al tutto aggiungiamo i piazzamenti abbiamo quarantanove secondi posti e trentun terzi.

Fantastica avventura quella di Gimondi anche se sulla strada dell'italiano si è trovato un belga fenomenale di nome Eddy e di cognome Merckx. E tuttavia proprio nel mondiale di Barcellona il nostro rappresentante ha avuto la meglio su colui che in gruppo veniva definito il "cannibale" per la prepotente sequenza di successi. Ricordo bene quella domenica, ricordo Merckx che attacava a ripetizione, ricordo che sull'ultima salita Gimondi chiedeva tutto a se stesso per non perdere le ruote dei fuggitivi e infine l'epilogo che nessuno si aspettava. Merckx era il più stanco del quartetto, Gimondi faceva tesoro di ciò che aveva imparato nelle Sei Giorni: gomiti larghi per evitare la rimonta di Maertens, uno "sprinter" che anni dopo castigherà Moser a Ostuni e Saronni in quel di Praga.

Caro Felice, siamo stati compagni d'avventura per tante stagioni, più che compagni amici che condividevano i problemi del momento e principalmente la lunghezza del calendario. Ti ringrazio per i complimenti nei miei riguardi, ma voglio aggiungere che più di ogni altra cosa ho apprezzato il tuo impegno, il tuo modo di soffrire, la tua grande resistenza. Anche nei giorni di crisi sapevi onorare il mestiere.

Non ho dimenticato quella tappa del Tour '67, quando dopo una notte insonne per un violento attacco di colite, non ti sei arreso. Cammin facendo il tuo ritardo aumentava di chilometro in chilometro e la radio di bordo forniva notizie per niente rassicuranti. Fu allora, fu sul Col de Mente che dissi a Zeno Uguzzoni (il mio pilota) di fermarsi. Quando sei passato in compagnia di Giancarlo Ferretti, di un gregario che è poi diventato un ottimo direttore sportivo, ho capito che nonostante i tuoi patimenti, il tuo pallore, la tua lentezza saresti giunto al traguardo. Due giorni dopo hai vinto la Limoges-Clermont-Ferrand, quart'ultima tappa di un Tour dominato da Roger Pingeon.

Caro Gimondi, non sei mai venuto meno ai tuoi doveri di atleta. Una generosità esemplare, un attaccamento alla bandiera che ti ha portato nella leggenda del ciclismo. Figure come la tua vanno messe in cornice e additate a tutti coloro che scelgono lo sport della bicicletta. Non tanto per le tue vittorie, ma principalmente per il profondo amore nei riguardi di una dura disciplina. Purtroppo viviamo momenti in cui pochi sono degni della fiducia in loro riposta. Metà gruppo è già stanco, già vuoto di energie a metà stagione. E con ciò faccio punto con un saluto e un caloroso abbraccio.
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