Paolo Rosola: io, cavallo pazzo

Rivista Tuttobici Numero: 7 Anno: 2006

Paolo Rosola: io, cavallo pazzo

di Gino Sala

Corridore bizzarro, fuori da ogni schema al punto da meritarsi il nomignolo di "cavallo pazzo". Il perché lo spiega Paolo Rosola, nato a Gussago il 5 febbraio 1957, professionista dal '78 al '90, altezza 1,80, peso 80 chili, un gregario di Gavazzi, Argentin, Prim e Contini, gregario fortissimo in volata come dimostrano le sue ventotto vittorie tra le quali figurano dodici tappe del Giro d'Italia.
«Cavallo pazzo perché non ho mai seguito le regole dell'atleta, perché in me c'erano dei meccanismi nemici della concentrazione, tali da limitare il rendimento. A volte venivo meno all'attesa perché con la testa ero altrove. Male, malissimo, come dico sempre ai ragazzi che adesso si affidano ai miei consigli...».

Com'erano diverse le volate dei tuoi tempi, faccio notare. E lui: «Si lottava spalla a spalla. Bisognava arrangiarsi con il fai da te. Non esistevano i treni di oggi, per intenderci. Non voglio far paragoni, però mi domando come si troverebbe Petacchi e non soltanto Petacchi in situazioni del genere, quando era necessario essere in prima linea ad un chilometro dal traguardo».
Ricordo Rosola come uno dei ciclisti più ciarlieri e più divertenti del plotone. Raramente perdeva il sorriso, sovente veniva citato per le sue simpatiche, come dire?, deviazioni, per il suo modo di alleggerire le pressioni. Dovevi stare attento nel cogliere il significato delle dichiarazioni, però era un bel vedere quando sfrecciava facendo valere la sua potenza. Ha indossato per due giorni la maglia rosa, ha battuto avversari che si chiamavano Saronni, Moser, Bontempi e Freuler, è giunto 15 volte secondo e tutto sommato può dirsi soddisfatto dei risultati ottenuti in un ambiente che Paolo considera migliore di quello dei nostri giorni, più composto da amicizie, per dirne una.

«Era un gruppo che, finita la corsa, aveva i toni di una grande famiglia», osserva cavallo pazzo. «Era un ciclismo che mi ha dato tanto e ringrazio mio padre che mi ha messo in bici all'età di 13 anni...». Già, un plotone dove non esistevano le storture dei nostri giorni, gestito da tecnici capaci e coscienti, portatori di una scuola che in larga misura si è estinta. Ho più volte rimarcato e ripeto che nel ciclismo del Duemila sono pochi i veri istruttori e troppi coloro che operano per esclusivi interessi di parte, che illudono tanti giovani aprendo loro la porta del professionismo. Il perché lo sappiamo ed è una delle schifezze che bisogna cancellare, è il mercato delle assunzioni di elementi che si portano dietro uno sponsor, elementi scarsi e tuttavia promossi perché portano quattrini nelle tasche dei direttori sportivi. Spetta alla Federciclo intervenire per mettere fine a questi vergognosi intrallazzi. No e poi no al passaggio di categoria quando vengono meno determinate garanzie.

Rosola è diventato un abile istruttore nella specialità del mountain bike dove ha portato Paola Pezzo sul gradino più alto di due Olimpiadi, quella di Atlanta '96 e di Sydney 2000. Altri riconoscimenti confortano il lavoro di Rosola che invano ha cullato la speranza di essere nominato c.t. del settore e qui posso immaginare, ma non condividere il motivo della bocciatura.
©2002-2023 Museo del Ciclismo Associazione Culturale ONLUS - C.F.94259220484 - info@museociclismo.it - Tutti i diritti riservati

I dati inseriti in archivio sono il risultato di una ricerca bibliografica e storiografica di Paolo Mannini (curatore dell'Archivio). Le fonti utilizzate sono svariate (giornali, libri, enciclopedie, siti internet, archivi digitali e frequentazioni sui vari Forum inerenti il ciclismo). Chiunque desideri contribuire alla raccolta dei dati, aggiunta di materiale da pubblicare o alla correzione di errori può farlo mettendosi in contatto con Paolo Mannini o con la Redazione.

Preferenze Cookies - Privacy Policy