Michele Dancelli

Bresciano di Castenedolo, classe 1942, si fa subito notare all'inizio della carriera. Inizialmente nel ciclismo ricerca forse un riscatto dalle sue origini sociali: lui stesso ha dichiarato che, tra i dilettanti, si divideva tra gli allenamenti ed il duro lavoro di muratore.
Passa professionista alla fine del 1963, dopo aver vinto il titolo di campione nazionale tra i dilettanti, e conclude al terzo posto il Giro di Lombardia: non male per un debuttante.
Nel 1964 vince la sua prima corsa nel circuito di Col San Martino e, al debutto al Giro d'Italia, ottiene una bell'affermazione nella tappa di Brescia, indossando la maglia rosa. Dopo essersi imposto nel Giro d'Abruzzo e nel G.P. Industria e Commercio di Prato, conclude la stagione aggiudicandosi la Torino-Castellania, altrimenti conosciuta come la Corsa di Coppi.
Nel 1965 si pone alla definitiva attenzione degli appassionati con un'annata ricca di successi, tra i quali spiccano, oltre al Campionato Italiano, due tappe al Giro, il G.P. di Montelupo e, nel mese d'agosto, tre successi in altrettante classiche del calendario nazionale: G.P.Industria e Commercio di Prato, Giro dell'Appennino e Coppa Placci. Senza contare il Giro del Veneto ed il Giro di Campania.
Altra annata d'oro è il 1966: dopo una vittoria di tappa alla Parigi-Nizza, rischia di vincere la Sanremo, arrivando sesto in una volata che vede il successo di Merckx.
Comincia bene quell'anno e Michele lo dimostra nelle classiche del Nord. Dopo aver trionfato nel Giro della Provincia di Reggio Calabria, alla Parigi-Roubaix è l'ultimo a cedere a Felice Gimondi: una stupenda foto li ritrae sul pavé, entrambi ricoperti di fango.
Non si fa attendere il sigillo del bresciano: trionfa nella Freccia Vallone, davanti ad Aimar, il futuro vincitore del Tour, ed a Rudy Altig, ed è sesto alla Liegi.
Una sola tappa nella corsa rosa, ma il suo finale di stagione è straordinario. Nel mese di settembre, infatti si aggiudica per la seconda volta consecutiva il Giro dell'Appennino, trionfa nel Giro del Lazio (conquistando la sua seconda maglia tricolore) e bissa il successo nel Giro del Veneto. La vittoria all'Appennino merita una menzione particolare, perché lo stesso Michele la considera la sua vittoria più bella: fuga di 215 chilometri, di cui un centinaio percorsi in solitudine.
Nel 1967 passa alla Vittadello, continuando a mietere successi nelle corse di un giorno: ancora a Reggio Calabria e ancora a Prato. In una settimana, dall'1 al 7 ottobre, si aggiudica nell'ordine il Giro dell'Appennino, il Giro dell'Emilia e la Coppa Sabatini, e il 14 dello stesso mese si aggiudica nuovamente la Corsa di Coppi. Le vittorie, oltre a numerosi piazzamenti, gli valgono la conquista del San Silvestro d'oro.
L'anno successivo passa alla Pepsi-Cola, diretto da Gino Bartali. Vince a Laigueglia e disputa un bel Giro d'Italia, indossando la maglia rosa per 9 giorni.
Nella giornata del mondiale di Adorni completa il successo azzurro con la conquista del terzo posto. Vince anche la Parigi-Lussemburgo, corsa a tappe di 4 giorni.
Il 1969, con la casacca della Molteni, lo vede protagonista al Tour: una vittoria di tappa e 20° posto nella classifica generale, ma troppo spesso si dimentica che, nella tappa pirenaica vinta da Merckx, Michele arriva secondo ed avrebbe potuto anche restare con il Cannibale, se non avesse dovuto sacrificarsi per un suo compagno di squadra. Forse è per questa corsa che Eddy ne riconobbe il valore assoluto.
E' terzo al mondiale di Zolder, dopo una fuga che avrebbe meritato miglior fortuna.
Aveva già un ottimo palmarès, Michele, costellato non solo di significative vittorie, ma anche di piazzamenti importanti nelle corse di un giorno.
Deve attendere la vittoria alla Milano Sanremo per ottenere un posto nella storia del ciclismo. Il 19 marzo 1970, dopo il trionfo nella corsa del sole (ottenuta grazie ad una fuga solitaria di 70 chilometri), in lacrime sul palco, intervistato da Nando Martellini si lascia andare ad uno sfogo: "sono contento particolarmente perché...non mi hanno mai calcolato un campione".
Questa vittoria, oltre a smentire i più scettici, lo proietta verso il suo miglior Giro d'Italia, concluso al quarto posto, con quattro successi di tappa ( splendida la vittoria sulla Marmolada) ed il secondo posto (per pochissimo!) nella classifica a punti, battuto da Franco Bitossi dopo duelli spettacolari.
Una vittoria in volata su Zilioli nel Giro del Lazio del centenario di Roma capitale conclude quella bell'annata.
All'inizio del 1971, una brutta caduta durante una tappa della Tirreno-Adriatico gli provoca la frattura del femore: da quel giorno Dancelli non è più lui.
Ci sono, è vero, altre vittorie ed altri piazzamenti in maglia Scic, ma il corsaro ha smarrito lo spunto di un tempo. Mai domo, cerca ancora di lasciare il segno. E' terzo al Giro della Svizzera del 1972, dove vince anche la classifica a punti, ed è sesto al mondiale di Gap.
Al Giro dell'Appennino del 1972, prova unica per l'assegnazione del titolo di campione d'Italia, si lancia nella discesa dei Giovi, in un tentativo di acciuffare il quarto successo nella corsa della Bocchetta e di indossare per la terza volta la maglia tricolore. Viene raggiunto, e deve accontentarsi del terzo posto, dopo Gimondi e Bitossi.
Dopo un'altra annata senza particolari acuti, conclude la carriera nel 1974.
E' stato un corridore "corsaro" Michele Dancelli, uno che non si è risparmiato nella sua carriera.
Combattivo, grinta e carattere da vendere, amante delle fughe da lontano, forse neppure troppo amato da alcuni colleghi e certamente mai abbastanza apprezzato dalla stampa specializzata.
Eppure ha scritto pagine memorabili nella storia del ciclismo, e non solo quando vinceva. E' stato protagonista di una generazione nella quale non mancavano i cavalli di razza , sia in Italia che all'estero.
Le definizioni che gli sono state attribuite (velocista, passista-veloce) non rispecchiano le vere caratteristiche del corridore che, ad eccezione delle prove contro il tempo, poteva vincere su ogni terreno.
Adorni gli diceva:"Vai forte in salita, vai forte in volata, ci puoi battere tutti. Ma chi te lo fa fare di impegnarti in quelle fughe?"
Perché Dancelli era fatto così. Gli piacevano le fughe, magari in compagnia dei migliori, con i quali giocarsi la vittoria. Senza eccessivi tatticismi o giochi di squadra. Un carattere individualista, un po' anarchico: forse è per questo che mi è sempre piaciuto. Un sognatore nomade , lo ha definito Gianni Mura.
Ogni tanto attaccava fuoritempo: nel Giro del 65, per esempio, nel tappone di Medesimo, si lanciò in fuga quasi subito dopo il via e fu vittima di una crisi di fame.
A distanza di tanti anni ha riconosciuto che, se avesse corso con maggior raziocinio, avrebbe vinto anche un Giro d'Italia.
Grande amico di Gianni Motta, ha sempre manifestato ammirazione per due suoi straordinari avversari: Eddy Merckx e Franco Bitossi.
Ha vinto corse dando spettacolo in maniera incredibile, alla maniera antica, ed ha avuto il merito di vincere la Sanremo dopo 17 anni di successi stranieri.
Insomma, un campione vero.
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