Giuseppe Perletto: «Perso lo spirito di avventura»

Rivista Tuttobici Numero: 8 Anno: 2007

Giuseppe Perletto: «Perso lo spirito di avventura»

di Gino Sala

Nella mia vita di cronista del ciclismo ho incontrato tanti ragazzi, vuoi baldanzosi, vuoi riservati, ma uno che ricordo per la sua, come dire?, timidezza risponde al nome di Giuseppe Perletto, ligure di Dolcedo (Imperia), nato il 12 maggio 1948, professionista dal '72 al '79, altezza 1,68, peso 62 chili, uno scalatore che ha totalizzato undici vittorie tra le quali figurano tre tappe del Giro d'Italia, competizione che nel 1975 ha chiuso in quinta posizione.
Timidezza, ho detto, o quantomeno un modo di appartarsi, di non esporsi, di mettersi in un cantuccio anche nei momenti in cui avrebbe potuto alzare la voce. Un ciclista taciturno, insomma, mai polemico anche quando il caso lo richiedeva. Anche per questo motivo ho ammirato Perletto e gli ho voluto bene, perché lo ricordo con simpatia, perché ho tifato per lui in una Milano-Sanremo dove era in fuga sul Poggio, dove il suo sogno è finito ad opera di Saronni e dell'olandese Raas.
I lettori che hanno la bontà di seguirmi conoscono i miei pensieri, le mie preferenze per i corridori di medio calibro che avrebbero bisogno di un po' di fortuna per realizzare una grande conquista. Così non è per molti, così non è stato per Perletto che al termine della carriera ha usato tutti i risparmi per farsi una casa dove vive con la moglie e la figlia.

Altri tempi, altri stipendi, altro ciclismo che nella sua santa povertà esprimeva valori via via scomparsi. Adesso abbiamo una falsa ricchezza, abbiamo dirigenti che intrallazzano, che sono lontani parenti del buoncostume, gentaglia che ha smarrito la retta via.
Raggiunto al telefono, Perletto mi confida di essere impegnato nella piccola azienda che produce olio e sul ciclismo dei nostri giorni si limita a dire di non condividere l'impiego degli apparecchi che collegano i corridori con i direttori sportivi.
«Meglio prima, quando il tutto aveva il significato dell'avventura. Adesso c'è un ambiente sofisticato» precisa Perletto e non posso dargli torto perché le radioline soffocano l'inventiva e a ben vedere bisognerebbe abolirle. Non per niente Danilo Di Luca è contrario all'impiego di attrezzi del genere.
Dunque, evviva la semplicità e la modestia di Perletto che a suo modo ha incarnato il mestiere del buon ciclista, quello che non reclama mai, che accetta ciò che gli viene concesso, che sopporta i sacrifici e le ingiustizie del mestiere. Perletto l'antirivoluzionario, osserverà qualcuno, Perletto nei panni dell'atleta che a suo modo ha onorato la bandiera, aggiungo io.
©2002-2023 Museo del Ciclismo Associazione Culturale ONLUS - C.F.94259220484 - info@museociclismo.it - Tutti i diritti riservati

I dati inseriti in archivio sono il risultato di una ricerca bibliografica e storiografica di Paolo Mannini (curatore dell'Archivio). Le fonti utilizzate sono svariate (giornali, libri, enciclopedie, siti internet, archivi digitali e frequentazioni sui vari Forum inerenti il ciclismo). Chiunque desideri contribuire alla raccolta dei dati, aggiunta di materiale da pubblicare o alla correzione di errori può farlo mettendosi in contatto con Paolo Mannini o con la Redazione.

Preferenze Cookies - Privacy Policy