Livio Trapè, dall'Oro Olimpico al grigio fra i prof

Nato a Montefiascone (VT) il 26 maggio 1937. Passista scalatore è stato professionista dal 1961 al 1966 collezionando una sola vittoria.
Anche con questo viterbese dal volto spesso sorridente, incontriamo un altro esempio di grandiosità fra i dilettanti e di delusione fra i professionisti. Ed anche per Livio, valgono tante delle considerazioni che hanno costruito, negli anni, un mio preciso convincimento circa il rapporto che il ciclista deve avere con le categorie minori. Trapè, è stato uno dei dilettanti più forti dell'intera storia del nostro ciclismo. Un virtuoso, animato da grande volontà di divertire e divertirsi, generoso, e, per questo, disponibile a mettere sul piatto della corsa, una quantità notevole di energie. Un corridore che nelle sue giornate migliori, tutte passate fra i dilettanti, appariva completo, sempre pronto a tirare fuori dal cilindro, l'acuto vittorioso.
Nel 1958, '59 (assieme al prodigioso Venturelli col quale disputò un Trofeo Baracchi che li pose al secondo posto, addirittura fra i professionisti) e, soprattutto, nel '60, Livio fu il protagonista per eccellenza, colui che ai punti avrebbe ricevuto da tutto l'osservatorio internazionale, qualche colore dell'iride per manifesta superiorità. Nelle tre stagioni, vinse un impressionante numero di classiche per "puri", fu campione d'Italia, quindi olimpionico assieme a Cogliati, Fornoni e Bailetti nella 100 km a squadre di Roma '60. Nella gara individuale colse la Medaglia d'Argento, più per sottostimazione dell'avversario, il sovietico Kapitonov, che per effettiva malasorte. Nella volata a due con colui che poi diverrà una specie di guru del ciclismo di quello sconfinato paese, si fece beffare d'un soffio, ma apparve ai più e senza partigianeria alcuna, come il più forte dell'intero lotto olimpico.
Con queste premesse da autentico super, esordì al professionismo nel '61, con la maglia della "romagnola" Ghigi. Arrivò presto, quasi subito al successo: in primavera vinse con lo stile che l'aveva contraddistinto fra i "puri" il Giro di Campania. Nessuno si sarebbe immaginato quella vittoria come l'unica, ed invece, fu così. Cominciarono ad emergere acciacchi, ed il resto della stagione fu incolore. Nel '62 iniziò di nuovo bene col secondo posto nella Sassari-Cagliari (vinse Guido Carlesi), proseguì fra alti e bassi con la terza moneta nel Giro della Provincia di Reggio Calabria, e coi quinti posti nel Giro di Romagna e nella Tre Valli Varesine. Finì con una grande prestazione al Giro di Lombardia, dove fu piegato dall'olandese Jo De Roo. Sembrò in crescita, acciacchi a parte, e trovò, per il '63, l'ingaggio della neonata Salvarani. Ma l'annata fu incolore, a parte il quinto posto nel campionato italiano. Nel '64, in maglia Springoil Fuchs, il grigio, fu ancora una costante della stagione di Trapè. L'unico acuto, nella tappa del Giro d'Italia che segnò il "canto del cigno" di Nino Defilippis, dove il viterbese giunse terzo. Dopo quattro anni deludenti, senza aver mai portato a termine un Giro, Livio, anche in considerazione dei suoi malanni, si trovò senza contratto. Non voleva cedere e staccò la licenza anche nel 1965 e '66, senza però trovare qualcuno disponibile a credere di nuovo il lui. Un amaro finale per un corridore potenzialmente fortissimo che pure ebbe giornate luminose.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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