Raymond Poulidor, le vittorie del perdente

di Jean-François Quénet

Raymond Poulidor, il campione sempre battuto al Tour de France da Anquetil e Merckx, ha compiuto 70 anni il 15 aprile e il Tour du Limousin in agosto lo ha onorato dedicandogli l'intera edizione 2006 della corsa. Già, il grande "PouPou", centonovanta vittorie in diciassette anni di carriera, professionista dal 1960 al 1977.
Quando Poulidor ha cominciato la sua carriera, in gruppo c'era ancora Louison Bobet, quando si è ritirato c'era già Bernard Hinault. Nel frattempo, Jacques Anquetil e Eddy Merckx gli hanno "rovinato" il palmarès. A causa loro, infatti, non ha mai indossato la maglia gialla del Tour de France nemmeno per un giorno, anche se, a quarant'anni compiuti, nel 1976, saliva ancora sul podio a Parigi.
Il suo braccio di ferro con Anquetil sul Puy-de-Dôme nel 1964 rimane il duello più famoso di tutta la storia del ciclismo francese. Mai un ciclista è stato amato in Francia quanto Poulidor, perché ai francesi piacciono i coraggiosi perdenti. Da quarant'anni ormai, in Francia c'è "il Poulidor della politica", "il Poulidor dell'economia" ed essere "il Poulidor di qualcosa" vuol dire finire secondo e apparire più simpatico del primo. Talvolta, però, Poulidor si stanca di questa immagine di eterno perdente, perché la gente ha finito per dimenticare che lui ha vinto tante corse, e non certo piccole. Ha vinto la Vuelta, il campionato di Francia, la Freccia Vallone, il GP delle Nazioni (una cronometro di oltre 100 chilometri), la Parigi-Nizza (due volte e a 36 anni ha beffato il grandeMerckx, nel 1972), il Delfinato (due volte), il Criterium Nazionale (cinque volte, ora diventato Criterium Internazionale), il Midi Libre, la Settimana Catalana.
Ma di tutte, il ricordo forse più caro per Poulidor è la sua prima grande vittoria, la Sanremo del 1961.
«Era la mia prima partecipazione - racconta -. L'anno prima, non avevo la carta d'identità per andare a correre all'estero, quindi avevo dovuto ripiegare sulla Bordeaux-Saintes che avevo vinto. Nel 1961 si affrontava per la prima volta il Poggio e io non avrei dovuto vincere: avevo forato sul Capo Berta e non c'era nessuno per darmi una ruota. Il mio diesse, Antonin Magne, era arrivato così tardi che mi ero seduto in macchina, mi sembrava totalmente inutile continuare, fu lui a rimettermi di forza sulla bicicletta. Ho recuperato e, tornato in testa alla corsa, ho attaccato sul Poggio, conquistando un distacco sufficiente per vincere: ma vicino all'arrivo, un carabiniere ha sbagliato la segnalazione e mi ha spedito in una via sbagliata. Ho dovuto tornare indietro e sono riuscito lo stesso a mantenere tre secondi di vantaggio su un gruppo di ottanta corridori, il più veloce dei quali è stato Rik Van Looy; ma c'erano anche Louison Bobet, André Darrigade, Gastone Nencini, Miguel Poblet, Rudy Altig e Tom Simpson».
Poulidor è nell'albo d'oro della Sanremo, ma curiosamente non ha mai disputato il Giro d'Italia.
«Ho corso tutta la carriera con la Mercier, che non aveva interessi economici o pubblicitari in Italia. Mi sarebbe piaciuto dare battaglia sulle Dolomiti anche se gli italiani erano difficilmente battibili sulle loro strade e Jacques Anquetil ne sapeva qualcosa...».
Cosa fa, Poulidor, a 70 anni? Come prima, pensa a guadagnare dei soldi. Per tutto l'anno, gira la Francia vendendo le biciclette che portano il suo nome; è testimonial pubblicitario per polizze assicurative rivolte agli anziani; promuove il marchio Mercedes, casa che gli ha regalato una macchina nuova quando la sua ha toccato i 600.000 chilometri. A Natale, va in Olanda a fare il nonno: sua figlia Corinne è sposata con l'ex-campione Adri Van der Poel.
A luglio, come sempre da quasi cinquant'anni, fa il Tour. E oggi, finalmente, veste la maglia gialla perché cura le pubbliche relazioni per il Crédit Lyonnais, ora diventato LCL, lo sponsor della maglia gialla. Passa i giorni a firmare autografi e a stringere mani.
«Oggi non mi piacerebbe non essere popolare - dice -. E mi piace quando i bambini mi festeggiano e mi chiamano "Poupou"».
Poulidor è sempre sorridente e sembra non voler invecchiare. Nel 2004 ha portato la partenza di una tappa del Tour nel suo villaggio, St-Léonard-du-Noblat, nel Limousin, dove ha sempre vissuto con la moglie che da giovane era la postina del paese. Come lo vede, il ciclismo di oggi?
«Certe cose non mi piacciono. Non c'è più il contatto tra il campione e il pubblico. I corridori rimangono nel loro pullman, sono inavvicinabili. E non mi piace neanche questa ossessione per il Tour de France. Io, per esempio, non ho lasciato passare una stagione senza partecipare alla Roubaix. E l'ultima volta, nel 1977, sono arrivato dodicesimo».

da Tuttobici n. 11/2006
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