Domenico Meldolesi e la Rinascita Ravenna

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Domenico Meldolesi, nella Rinascita dal 1958, come Allievo conseguì alcuni buoni risultati. Sveglio e svelto, voglioso e, talvolta, svogliato, ma nei periodi in cui "stava lì con la testa" - si diceva negli ambienti rosso verde - era capace di fare cose inedite. Mantenne questo stile per l'intera carriera conclusa da professionista nel 1968. Non era facile farsi un quadro preciso della personalità di Meldolesi, era abbastanza indefinibile per il suo carattere aperto, gioviale, "canterino" fino a dare, allegramente, tutto per impossibile. Dipingeva sempre gli avversari come imbattibili, poi compiva imprese memorabili. Il salto di qualità avvenne nel 1960 a Santo Stefano (Ra) nel campionato emiliano Dilettanti. Una corsa dura, ricca di colpi di scena fino alla fuga decisiva, sull'ultima salita della Rocca delle Caminate, insieme a uomini tosti quali Benedetti, Magnani, Piancastelli e Venturi. Il quintetto dovette metterci del bello e del buono per rintuzzare le sfuriate degli inseguitori, ma negli ultimi km accumulò il vantaggio della tranquillità. Erano tutti atleti ben noti e vincenti (due del Pedale Ravennate, Benedetti e Piancastelli), mentre Meldolesi non aveva ancora fornito prove da fare ritenere di competere con loro. Era già un buon segno che Papòza avesse colto la fuga buona e, nonostante si sapesse che disponeva di un ottimo spunto di velocità, ci si aspettava un buon piazzamento. Altro che "ottimo spunto di velocità", Meldolesi ingaggiò una volata travolgente e ottenne una vittoria strepitosa. Si ricordano ancora i suoi salti di gioia, l'evento è fermato nelle immagini, tanto che il sindaco di Ravenna di allora, Celso Cicognani, impazzì non poco dovendo ricominciare da capo più volte per infilare nella sua testaccia la maglia di campione. Per i rinascitini fu una giornata da incorniciare: una grande vittoria inattesa considerata la durezza della corsa e la statura degli avversari, ma soprattutto, la scoperta di un corridore capace di tutto, che seppe cancellare i momenti nei quali, proprio per il suo carattere estroverso che lasciava ampi margini di incertezza, era stato solo capace di di quasi niente. Da quel giorno, emerse un atleta competitivo e un velocista di alto rango su strada e, a buon diritto, ci si attendeva un proseguimento di successi. Quel giorno, servì anche a Meldolesi per la sua maturazione, soprattutto nel carattere, nell'affrontare le situazioni con maggiore responsabilità, infatti, non mancarono risultati di grande rilievo. Uno di questi e forse il più ambìto, anch'esso inatteso, lo colse nel '61 a San Bernardino di Lugo davanti a un pubblico enorme e di tutta la Rinascita. Una gara indicativa, per la formazione della squadra azzurra ai mondiali di Berna, su un circuito con le sole due rampe dei ponti sul fiume Santerno a S. Bernardino e Ca' di Lugo. Una marea di concorrenti, ovviamente i migliori d'Italia, tra i quali gli esperti indicavano i più quotati e plurivittoriosi "imbattibili". Per la Rinascita fu importante avere tra di loro tre convocati: Meldolesi, Ferretti e Piancastelli. Una corsa interamente liscia, ma resa durissima per la sequenza infinita di azioni d'attacco che sbriciolavano l'enorme codazzo di 250 pedalatori. Ciò nonostante, alle frequenti vistose selezioni, seguivano accaniti ricongiungimenti e, nell'ultimo giro, un plotone di testa di almeno 100 corridori. Sul famoso "Stradone" dritto come un fuso per 2 km, non sconnesso, ma nemmeno splendidamente asfaltato, sollevavano un discreto polverone. In testa, uno schieramento di uomini allargato fino agli estremi limiti della carreggiata. Nel pieno della volata, con almeno 15 atleti che formavano la punta del gruppo, lanciatissimi a dimenarsi con alcuni dei quali quasi sulla stessa linea, sbucò l' inconfondibile parte rossa della maglia che negli ultimi 50 metri fece un balzo in avanti di schianto: era Papòza! Una vittoria superba, strepitosa. Un Meldolesi raggiante con i tifosi rosso verde tutti addosso a valanga, increduli, ma con una felicità straripante. Macché interviste ai numerosissimi cronisti, "questo è nostro e ce lo vogliamo godere", (roba da matti) e Meldolesi rivolto ai tanti di noi, sbottò: "Avìv vèst che quand a fégh int e' séri a so bon d' s - ciantéi al j òs ?" L'eco fu enorme e rimase in bacheca per lungo tempo (anche ora per chi ricorda) nonostante in seguito avesse ottenuto successi altrettanto importanti.Azzurrabile, ma non titolare; passò professionista con la Maino in cui non tutto andava liscio perché incapace di adeguarsi alle regole del gregario e, per un certo tempo, incapace di vincere.Poi il "canterino" stangò i campioni a Ceprano e il 24 maggio del 1965 vinse la 10a tappa del Giro d'Italia, la Messina-Palermo di km 260, falciando grandi velocisti quali Zandegù e Van Den Berghe in fuga con lui. Nel 1992 a Mel (Bl), dove risiedeva, tagliò un grosso albero nel suo cortile che gli crollò addosso togliendogli la vita.
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