Franco Balmamion: "il cinese"

Franco Balmamion, è nato a Nole Canavese (Torino), l'11 gennaio 1940. Rimasto orfano all'età di tre anni, venne cresciuto con amore paterno da uno zio che era stato qualcuno nel ciclismo: Ettore Balmamion. Con Franco, lo zio, si comportò da buon piemontese, guardando soprattutto al sodo. Quando capì che la scuola poco si addiceva al ragazzo e alle esigenze di tutta la famiglia, trovò al giovane un impiego alla sezione ricambi della Fiat. I nuovi ritmi di vita, furono decisivi per cementare in Franco la vocazione di emulare e, magari, superare lo zio nel ciclismo. Già, perché la ventina di chilometri che si frapponevano fra la casa dei Balmamion a Nole e l'Officina di Torino, da percorrere in bicicletta, diventarono per il ragazzino una palestra per provarsi. Non tardò a capire di saperci fare. Raggiunta l'età per correre nell'allora categoria allievi (equivalente all'odierna degli juniores), Franco si diede davvero al pedale, incontrando l'ovvia "benedizione" dello zio. Con le corse, Franco, conobbe anche quel soprannome-nomignolo che non lo abbandonerà più: "il Cinese", proprio per i suoi tratti somatici tendenti all'orientale.
Passato professionista giovanissimo, nel 1961, a ventun anni non ancora compiuti, all'interno della Bianchi e poi di quella Carpano che aveva come indiscusso capitano Nino Defilippis, Franco Balmamion, si mise subito in luce nelle corse più dure: si piazzò secondo nella tappa inaugurale del Giro d'Italia a Torino, quarto nella dura frazione di Trento e chiuse la corsa rosa al ventesimo posto. Nel finale di stagione colse un bel terzo posto nel giro dell'Emilia. L'anno seguente, al Giro d'Italia, dopo aver colto significativi piazzamenti nelle tappe di Perugia (3°) e, soprattutto, a Pian dei Resinelli, dove si inchinò al solo camoscio spagnolo Angiolino Soler, nella frazione pianeggiante che portava la carovana da Lecco a Casale Monferrato, si inserì in una fuga e guadagnò la maglia rosa che poi seppe difendere bellamente sulle Alpi. Fu attaccato e non portato in carrozza come qualcuno, dimenticando, ebbe a dire, ed a Milano, i fiori del trionfo accompagnarono meritatamente il piemontese.
Franco Balmamion, a ventidue anni da poco compiuti, era dunque entrato nella storia. Oltre alla regolarità, Franco dette valore alla sua impresa nella più terribile tappa dell'era moderna del ciclismo, la Belluno - Moena, accorciata a traguardo sul Passo Rolle, per una bufera di neve senza precedenti e nel pronto recupero dei giorni successivi. In quella giornata che elevò a gloria l'abruzzese Vincenzo Meco, giunsero al traguardo solo 53 corridori e fra i 57 ritiri rattrappiti dal freddo anche il mitico Charly Gaul, Balmamion fu uno dei migliori, arrivando sul Rolle con ancora in serbo quelle forze che poi nel prosieguo si rivelarono decisive. Sui venti e più centimetri di neve presenti sulla carreggiata del Rolle, si sciolsero le punte velleitarie di autentici camosci come Imerio Massignan, di nerboruti scalatori come Vito Taccone, di specialisti della sofferenza come Graziano Battistini, proprio colui che in quel giorno di tregenda conquistò la maglia rosa. Tutti gli stranieri uscirono di classifica e dire che di bravi, nel cast di quella edizione, ce ne stavano. Balmamion, dunque, vinse il Giro con merito, punto.
La stagione '62 però, gli riservò altre soddisfazioni, grazie ai successi in solitudine (e non poteva essere diversamente) nella Milano Torino e nel Giro dell'Appennino. Nel 1963, vinse alla grande il Campionato di Zurigo, già allora classica internazionale, anche se non di livello primario. Al Giro d'Italia, di fronte ad un cast stavolta meno valoroso, concesse il bis, sfruttando la sua regolarità e superando Vittorio Adorni, tanto virtuoso e audace, quanto vittima nella decisiva tappa di Moena, di una grave crisi. A soli 23 anni, dunque, il piemontese soprannominato "cinese", poteva così vantare un palmares tra i migliori della storia, a quella età. Balmamion, che nel frattempo era stato azzurro ai mondiali del '62 a Salò (ritirato) e '63 a Renaix (ritirato), dopo un'interlocutoria stagione '64 (finì il Giro 8°), ritornò a delle buone prestazioni nel '65, dove vinse con Italo Zilioli il Criterium di Caen, giunse 5° al Giro d'Italia, mentre ai mondiali del Nurbrugring, con l'ottavo posto, fu il primo degli italiani. Nel '66 vinse il Circuito di Cirié e finì 6° nella "corsa rosa".
Tornò a ruggire in grande stile nel '67, il primo in maglia Molteni, quando arrivò secondo al Giro d'Italia dietro a Gimondi e davanti ad Anquetil. Vinse in solitudine il Giro di Toscana che gli valse il titolo di Campione d'Italia e arrivò terzo al Tour de France, dietro Roger Pingeon e l'ex sacrestano spagnolo Julio Jimenez. A completare la sua ottima annata, giunsero poi le vittorie nel Circuito di Maggiora e nella frazione di Prati di Tivo di quella Cronostaffetta che, per la Molteni, si tramutò in un trionfo. Ai mondiali di Herleen, i primi vinti da Eddy Merckx, finì 30°. Nel '68 ebbe una evidente flessione di risultati. Nonostante ciò, chiuse il Giro all'ottavo posto e partecipò ai Mondiali di Imola vinti da Adorni, dove si ritirò. L'anno successivo passò alla Salvarani di Gimondi, ed il suo ruolo cambiò, orientandosi sempre più verso il gregariato. Nella sua prima stagione con l'asso di Sedrina, vinse la Cronosquadre della Parigi Nizza, di nuovo il Circuito di Maggiora e il Criterium Camors. Nel '70 nonostante la sua totale devozione a Gimondi chiuse sia il Giro che il Tour al 12° posto. L'anno seguente finì alla Scic, portando la sua esperienza al servizio di una formazione che aveva più di una freccia nel proprio arco. Terminò la carriera alla fine del 1972.
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