Giordano Cottur: libro "Quando spararono al Giro d'Italia", di Paolo Facchinetti

Recensione di Ninni Radicini

La mattina del 26 aprile 1945 gli italiani si svegliano sulle macerie di un paese lacerato da terribili drammi personali e collettivi. C'è voglia di tornare alla normalità. Pochi mesi dopo si ipotizza una nuova edizione del Giro d'Italia. Sembra un'idea folle non solo dal punto di vista sportivo (in che condizione sono gli atleti tornati dal fronte e dai campi di concentramento?) ma anche per le carenze logistiche, le strade ad esempio, molte delle quali distrutte o danneggiate dai bombardamenti.

Il Giro "della Rinascita", organizzato come tradizione dalla Gazzetta dello Sport, si trasforma in avvenimento comunitario. Giornali e aziende - quelle salvatisi dal disastro o appena riavviate - mettono in palio premi sostanziosi, soprattutto per le tasche vuote dell'epoca. L'ultima volta si era corso sei anni prima. Una generazione di ciclisti aveva visto passare gli anni migliori. Uno tra tutti, Gino Bartali.

Partenza il 15 giugno da Milano (il 2 c'è il referendum monarchia/repubblica). Si scende fino a Napoli, poi si risale. Partecipano 70 ciclisti. E' la prima delle grandi corse a tappe a ricominciare (il Tour nel '47). Nel programma c'è la Rovigo-Trieste. Non è come le altre. A Trieste, nel '45, i partigiani di Tito entrano prima di un reparto neozelandese degli Alleati e ne approfittano per dichiarare la
città annessa alla Jugoslavia. Un mese dopo gli anglo-americani ne prendono il controllo, in attesa di un accordo internazionale tra Roma e Belgrado e sullo sfondo tra Usa e Urss. E' una delle tante prove di forza che caratterizzeranno la "guerra fredda".

La tensione è alta e poco prima della partenza il comando alleato invita gli organizzatori del Giro ad annullare quella tappa. L'arrivo a Trieste era un modo per affermarne la italianità. La parte jugoslava temeva l'avvenimento ed era pressoché certo che avrebbe fatto qualcosa contro. Ad alimentare la passione c'era la presenza della Wilier Triestina tra le squadre al via. E' una formazione con ciclisti delle tre Venezie e maglia rosso alabardata, nata su iniziativa di Mario Dal Molin, proprietario della azienda Wilier di Bassano del Grappa. Tra loro il triestino Giordano Cottur, passista scalatore, con molte vittorie da dilettante poi professionista dal '38.

Al Giro partecipano "squadre" e "gruppi". Le prime sono quelle delle aziende che producono biciclette, le altre sono formate da società sportive e associazioni riconosciute. Tra loro: la Campari, il Centro sportivo italiano (area cattolica), la Milan-Gazzetta, messa su dalla Gazzetta e dalla squadra di calcio rossonera, il Fronte della Gioventù (del Pci).

La prima tappa, Milano-Torino, la vince Cottur. Al secondo posto il compagno di squadra Toni Bevilacqua (che vincerà quella del giorno dopo). Sui giornali è il tripudio. Intanto si ripropone la questione della Rovigo-Trieste. Annullarla potrebbe determinare proteste da parte italiana. Si decide di tentare il tutto per tutto e la tappa viene reintegrata. Però, come suggeriscono le autorità, è bene tenere un basso profilo. La Gazzetta pubblica la notizia senza troppa enfasi e il suo editorialista, Bruno Roghi, mette da parte la prosa appassionatamente patriottica.

A Trieste, la sera prima della tappa, ci sono incidenti e scontri. Domenica 30 giugno si parte da Rovigo alle 6.25 del mattino. A mezzogiorno si entra nella Zona A (controllata dagli Alleati). Da quel momento, ogni metro di strada deve essere percorso con attenzione. I primi problemi cominciano a Bigliano, poco prima di Pieris. Ai bordi delle strade non c'è nessuno, ma ad un certo punto, come ricorda Alfredo Martini, sui ciclisti arrivano fiori e pietre. Si pensa a qualche imbecille. Pochi metri dopo un ragazzo lancia un grosso sasso in mezzo alla strada. Alcuni sbandano e cadono, qualcuno rimane ferito, qualche altro con la bicicletta danneggiata. Non si tratta di gesti isolati.

Cento metri più avanti, dopo una curva, la strada è bloccata da pietre, bidoni di catrame, pezzi di filo spinato. I ciclisti e le auto al seguito devono fermarsi. In quel momento scatta l'agguato. Dai lati arrivano pietre. Alcuni ciclisti sono feriti, quello più grave è Marangoni, colpito alla testa e svenuto. Non è finita. Mentre si prestano i soccorsi, inizia una sparatoria che dura 4-5 minuti. In molti non se la sentono di rischiare la pelle e i dirigenti del Giro decidono di finirla lì: tappa conclusa e stesso tempo per tutti. Per la sera ognuno si arrangi. In molti si dirigono verso Udine.

C'è però uno che continua a ripetere: "Io a Trieste in un modo o nell'altro ci voglio arrivare". E' Cottur. Si capisce che è disposto a continuare anche da solo. Allora si cerca di creare una specie di rappresentanza della corsa, anche perché se nessuno fosse arrivato a Trieste le conseguenze sarebbero state imprevedibili. Mancano 38Km all'arrivo. Per un tratto i ciclisti sono a bordo delle camionette americane. Seguono una strada differente da quella prevista, eppure è piena di chiodi e pezzi di vetro. A Grignano-Miramare tornano in sella. L'arrivo non fa classifica ma vale per i premi di tappa. Non è un finale di cortesia. Si corre sul serio. Cottur non può lasciarsi sfuggire l'occasione e vince. Ai primi tre posti tre della Wilier Trestina.

Per effetto di quell'agguato vi sono una serie di gravi incidenti tra opposte fazioni. Quando si riparte da Udine, inizia un altro Giro. Arrivano le Dolomiti, con i favoriti a darsi battaglia. Nella classifica finale, la maglia rosa è Gino Bartali, secondo Fausto Coppi, terzo Vito Ortelli. Giordano Cottur è all'ottavo posto ma è lui l'eroe all'arrivo nell'Arena di Milano. Il suo gesto aveva avuto un enorme valore. Srisse Bruno Roghi: "Il Giro d'Italia ha fatto il suo dovere. E' andato a trovare gli italiani. E' andato a dire che bisogna stare uniti e bisogna volersi bene. Il Giro doveva andare a Trieste, proprio nei giorni estremi di un dolore estremo, per recare alla
sorella in pericolo la prova della solidarietà disperata di tutti i fratelli italiani. E' andato a Trieste."

Giordano Cottur è scomparso l'8 marzo 2006, a quasi 92 anni. Fino all'ultimo non ha mai mollato. Nulla di strano per uno che sfidò la storia quel 30 giugno di sessanta anni fa. Il merito di questo libro è nella descrizione di quell'episodio del Giro del '46 attraverso un meccanismo narrativo chiaro e scorrevole, adatto ad ogni tipo di lettore. Si tratta del primo di una serie, dello stesso autore, per la sottocollana "Storie dal Giro", che prosegue fino al 2009, centenario del Giro. Non è mai facile sincronizzare sport, cronaca e storia.
Paolo Facchinetti, come sempre, ci riesce con naturalezza. Per la felicità di noi che crediamo nella cultura dello sport.

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Ninni Radicini (sito personale www.ninniradicini.it) collabora con "Orizzonti Nuovi" (www.orizzontinuovi.org), quindicinale di informazione e analisi di Italia dei Valori. Altri articoli sono stati pubblicati da "Osservatorio sui Balcani", "Mondo Greco" (www.mondogreco.net).
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