Dino Zandegù: da garzone di fornaio a corridore

A Rubano di Padova, dove è nato, Dino Zandegù era un garzone di panettiere che con la bicicletta campava. E ben presto fu additato come potenziale corridore, perchè quasi batteva gli avversari con il biciclettone da consegne. Erano i tempi gloriosi della Ciclisti Padovani, e a sedici anni lo convinsero a fare il grande passo, e da garzone di fornaio diventò aspirante corridore. Si dimostrò subito un passista dotato di un'ottima punta di velocità e grazie a queste caratteristiche si aggiudicò un centinaio di corse tra i minori. Approdò, ventiquattrenne, al professinismo, cominciando dalla Cynar di Balmamion e Ronchini. L'esordio non fu dei più teneri, anche perchè era reputato uno dei migliori dilettanti in circolazione e si aspettavano che confermasse il bene che si diceva di lui. Il battesimo del fuoco avvenne al Giro d'Italia il giorno del grande attacco combinato Adorni-Taccone ai danni di Anquetil nella Roccaraso-Caserta. Si mossero in partenza in un giorno da lupi e Anquetil si trovò ad inseguire per duecento chilometri. Anche Dino si trovò ad inseguire, ma con minori motivazioni. C'era un tempo da lupi, in partenza nevicava, dopo 18 km sul Macerone aveva 12' di ritardo. Era imbacuccato come mai in vita sua, semiparalizzato, non andava neanche a spingerlo. Al rifornimento, dopo cento chilometri, il suo ritardo era di 32'. Villa, il massaggiatore, gli disse: "butta via tutto e provaci, se sei un corridore". Non aveva mangiato niente, non aveva voglia, ma buttò via gli occhiali, i gambali, i copriscarpe e anche il rifornimento, tanto aveva ancora quello del mattino. Si buttò come un disperato e rimontò parecchie posizioni, riprese molti corridori alla deriva e, con un tempo massimo di 42', per quindici secondi fu salvo, grazie al cronometrista che rimase a prendersi l'acqua, imperterrito, a fare il suo dovere. L'arrivo lo stavano già smontando, trovare l'albergo non fu facile, scoprire che Villa aveva dato via la camera, considerandolo fuori gara, fu un vero smacco, ma peggio fu transitare in sala da pranzo, grondante acqua e fango, con i compagni tutti puliti che ridacchiavano di lui. Si dovette accontentare di dormire in una scomodissima stireria, in un letto di fortuna. Stanco morto non toccò cibo e alle quattro del mattino si svegliò con i crampi allo stomaco e mangiò il rifornimento del giorno prima. Alle sette scese a fare colazione con la faccia gonfia e tutti, in squadra, erano convinti che si sarebbe ritirato o forse non sarebbe nemmeno partito.
Non conoscevano Zandegù: la tappa Caserta-Montepulciano si animò subito, con una fuga di otto corridori tra i quali gente di valore come Defilippis, Conterno e Fantinato. Presero subito trenta secondi e quando il vantaggio arrivò a 1'10" Dino si sganciò dal gruppo e andò a riprendere i battistrada. All'arrivo fu secondo, per pochi centimetri, battuto da Defilippis che dovette impegnarsi allo spasimo per aver ragione di lui. Balmamion e Ronchini si presentarono in camera sua, in albergo, facendogli i complimenti e portandogli un massaggiatore, lo stesso che si sarebbe occupato di lui, finalmente consacrato corridore.
Da professionista non ha vinto molto ma comunque gare di qualità: tappe al Giro di Sardegna, alla Tirreno-Adriatico e al Giro d'Italia. Vinse il Giro di Campania, il Trofeo Matteotti e poi il Giro delle Fiandre battendo un Merckx formidabile. Era il 1967, e dal quel giorno la sua vità cambiò e gli ingaggi si moltiplicarono.
Nel 1972 cessò la carriera dopo una mezza stagione nella GBC e chiuse con il successo nel Giro della Nouvelle France, in Canada. Aveva 32 e se li sentiva tutti addosso, non essendo, di natura, uno scansafatiche.
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