Enrico Paolini

Con questo corridore marchigiano, nato a Pesaro il 26 marzo 1945, capace di salire su punti evidenti della storia del ciclismo italiano, si incontra un esempio di indirizzo contrario ai tanti che hanno bruciato le loro migliori facoltà fra i dilettanti.
Certo, perché Enrico, fra i "puri", era uno che non sembrava per nulla il campione che poi è divenuto, anzi, pareva un predestinato ad appendere in anticipo la bicicletta al chiodo, senza l'opportunità di provare l'esperienza nell'élite del ciclismo.
All'indomani delle Olimpiadi di Città del Messico, quando il mondo dei professionisti spalancò le porte ad una settantina di dilettanti, il posto per Paolini non pareva esserci proprio. Fu il suo capitano fra i "puri", il reggiano Wainer Franzoni, a raccomandarlo in maniera decisiva alla Scic, che stava allestendo una squadra attorno a Vittorio Adorni. Morale: Franzoni, gran bel dilettante, dopo due anni incolori, chiuse la carriera e l'anatroccolo Paolini divenne un cigno destinato a segnare un decennio.
Cosa abbia trattenuto il pesarese fra i dilettanti, rimane un mistero, anche se è abbastanza logico pensare a quella lenta maturazione che fa parte del gioco di variabili dell'ellisse di un atleta. Una realtà che molti tecnici o pseudotecnici del ciclismo, i più manichei e scarsi in assoluto fra gli sport alla luce della carriera interdisciplinare di chi scrive, difficilmente accettano e concepiscono. Enrico Paolini stava per essere vittima di tutto questo e, per fortuna... arrivò Franzoni.
Nacque così la bella storia agonistica di questo coriaceo e serio professionista che passò l'intero segmento fra i prof, all'interno di un'unica squadra (anche questa una rarità), la Scic, appunto. Fu tre volte campione d'Italia ('73, '74 e '77), vinse sette tappe al Giro d'Italia, cinque al Giro di Svizzera, due al Midi Libre, una al Tour de l'Aude, una al Giro di Sardegna, quindi le classiche nazionali G.P. Camaiore ('69), Giro dell'Umbria ('72), Giro del Veneto ('72), la Tre Valli Varesine (Campionato Italiano '73), G.P. Belmonte Piceno '73, Milano-Vignola (Campionato Italiano '74), Coppa Bernocchi ('75), Giro dell'Emilia ('75), Giro della Provincia di Reggio Calabria ('75), Milano-Torino ('76) e il G.P. d'Intelvi ('77).
Fu sfortunato al Tour perché nelle edizioni '70 e '71 fu tolto di gara da due gravi cadute. Nel '71 prima di ritirarsi era riuscito a cogliere un secondo posto a Mulhouse.
Andò meglio nel Tour del '76, quando, finalmente libero dagli attacchi della malasorte, arrivò a sfiorare più volte il successo, cogliendo tre secondi posti e tre terzi posti. A questi piazzamenti di prestigio ne vanno aggiunti tantissimi altri in gare importanti, o in vere e proprie classiche. Su tutti, la piazza d'onore nel Giro di Lombardia '75, quando fu beffato da Francesco Moser. Quanto basta per dire che Enrico Paolini fu veramente un evidente del ciclismo degli anni Settanta (chiuse la carriera nel 1979).
Del pesarese stupivano tre aspetti: il frequente sorriso, la cordialità e la serietà. Tre presupposti fondamentali per farsi voler bene e poter correre nelle condizioni ideali, al fine di ottenere il massimo del proprio potenziale. Non gli costarono sacrificio i soventi ruoli di luogotenente, o vero e proprio gregario per i tanti big che vestirono le maglie bianco-nere della Scic: era il suo modo di interpretare lo sport, in sincronia col suo carattere. Forse gli è mancato l'acuto in una classica monumento, ma resta intatta la sua linea di ottimo corridore su tante variabili di una disciplina che continua ad amare anche oggi, vivendola nel ruolo di direttore sportivo.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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