Storia di Andrey Kivilev

Nato il 21 settembre 1973 a Talducorgan in Kazakistan, era sposato con Natalia ed aveva un figlio, Léonard, di pochi mesi.
Nel 1997 era arrivato in Francia assieme ad Alexandre Vinokourov, dopo essere stato notato da Gilles Mas durante il Giro di Malesia del 1996, e aveva corso come dilettante per un club di Saint-Etienne. Passato professionista con la Festina nel 1998, l'anno in cui la squadra fu coinvolta nel primo grande scandalo doping ed espulsa dal Tour de France, ha sempre corso con squadre francesi (Casino e Cofidis dopo le prime due stagioni con la Festina).
Nel 2001 era arrivato quarto al Tour de France e in quello stesso anno aveva conquistato le sue uniche due vittorie: una tappa nel Criterium del Delfinato (a Grenoble) e una nella Route du Sud. Eccellente scalatore, sempre nel 2001, si era piazzato quarto nella Parigi-Nizza dopo essere stato protagonista di una lunghissima fuga a Pontarlier.
Nel 2003 la tragedia: alla Parigi-Nizza il kazako, 29 anni, muore il 12 marzo in seguito alla caduta nella quale era rimasto coinvolto il giorno prima, nel corso della seconda tappa della corsa francese. La caduta era stata innescata dal tedesco Volker Ordowski finito a terra per un problema meccanico. Col tedesco erano caduti anche due corridori della Cofidis: il polacco Marek Rutkiewicz, ripartito subito, e Kivilev, rimasto privo di sensi in mezzo alla strada con evidenti ferite al volto. Mancavano una quarantina di chilometri al traguardo, Andrey aveva perso subito conoscenza e veniva trasportato inizialmente all'ospedale di Saint-Chamond. Arrivato in coma vigile, i primi esami (Tac e radiografie) avevano rivelato un grave trauma cranio-facciale (frattura a livello dell'osso frontale e due costole rotte). Vista la serietà delle condizioni era stato poi trasferito al reparto neurochirurgico dell'ospedale di Saint Etienne.
Bisognava attendere l'evoluzione della situazione per fare una diagnosi precisa, ma nella notte la situazione precipitava per la presenza di un edema sempre più diffuso e a nulla serviva il tentativo di effettuare una decompressione neurochirurgica per evitare che la pressione endocranica salisse troppo.
Articolo inviato da: Paolo Mannini (Firenze)
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