Storia di Adolfo Leoni

Fu nella casa del ferroviere Giovanni Leoni in Gualdo Tadino sulla linea Foligno-Ancona che la moglie Maria Severoni dette alla luce, il 13 gennaio del 1917, Adolfo, uno dei nove figli di quella folta e prospera famiglia.
Perugino di nascita, divenne reatino d'adozione poiché, trasferito il padre a Rieti, anche Adolfo si trovò nella nuova città dove, terminate le scuole elementari, cominciò ben presto a lavorare in un'officina meccanica distinguendosi per l'intelligenza e l'impegno.
Ma il suo destino non era quello: il ciclismo lo aspettava. Fu suo padre che, senza volere, lo avviò sulla giusta strada. Pur non avendo intenzione di provocare la partecipazione di qualcuno dei suoi figli, infatti, una sera tornando dal lavoro papà Giovanni riferì che era in allestimento una corsa ciclistica per i figli dei ferrovieri di età fra i 15 e i 22 anni. Fu l'argomento della discussione serale, ma Adolfo s'incuriosì e si interessò più degli altri... pur non potendo essere ammesso poiché aveva solo 14 anni. La romanzina dei genitori tendente a distoglierlo dal suo proposito fu precisa e perentoria, ma il giorno della gara, dopo una preparazione sommaria attribuendosi un anno in più, partecipò a quella corsa.
E, come il destino voleva, ne ottenne non solo una vittoria, ma un autentico trionfo al punto che persino i genitori toccati dai complimenti di tanti per il successo del figlio lo perdonarono senza, peraltro, togliere il veto al ciclismo.
Il germe della passione, tuttavia, era piantato. Mentre Adolfo in segreto continuava a cullare il suo sogno un ciclofilo, Luigi Padronetti che doveva diventare il suo primo prezioso maestro, gli fece conoscere alcuni segreti circa la preparazione, le gare e quanto occorre per diventare corridore.
Ed a 17 anni ottenne la prima licenza ufficiale: allievo per la Sportiva Rieti. L'esplosione del talento naturale fu deflagrante: in due stagioni di corse tra gli allievi e in altrettante fra i dilettanti ottenne un bottino eccezionale: 120 vittorie, e che vittorie. Il superiore spunto di velocità era l'arma che semplificava terribilmente la soluzione delle gare, nonostante avesse avversari del calibro di Cinelli, Favalli e Servadei.
Leggendaria, addirittura, la stagione dei vent'anni; in una settimana s'aggiudicò di seguito gare di rinomanza a Ferrara, Rieti, Terni e Pescara. Mandato dalla Federciclismo a Parigi per un grande confronto internazionale, il G.P. delle Nazioni, Leoni centrò anche quel bersaglio che lo qualificò tra i grandi favoriti dell'imminente campionato mondiale.
E' il 24 Agosto 1937 siamo in Danimarca e Adolfo brucia tutti nello sprint e diventa Campione del Mondo.
Ingaggiato dalla Bianchi per un cautelativo periodo di prova di tre mesi con lo stipendio mensile di 200 lire, debuttò come una folgore: a ventun anni s'aggiudicò il Giro della Campania battendo sulla pista dell'Arenaccia di Napoli, allo sprint gli assi del momento, Giuseppe Olmo e Learco Guerra.
Divenne il signore dello sprint oltre che passista di classe e da questa sua dote vennero moltissime delle circa settanta vittorie che dal '38 al '51 ottenne tra i professionisti e fra esse fior di classiche come il Giro del Lazio '41 che gli dette la maglia tricolore, la Milano-Sanremo 1942, la Milano-Mantova '39, la Coppa Bernocchi '39, il Giro dell'Emilia '42 e '46, la Tre Valli Varesine '43, la Sassari-Cagliari '48 e il Giro del Piemonte '49.
Fu in particolare nel Giro d'Italia che il suo rush gli dette gloria e popolarità: in ciascuna delle nove edizioni da lui affrontate vinse, almeno, una tappa. In tutto diciassette: 1 nel '38, 1 nel '39, 4 nel '40, 1 nel '46, 3 nel '47, 2 nel '48, 3 nel '49, 1 nel '50, 1 nel '51. Per le sue caratteristiche curare la classifica generale era quasi impossibile, ma nel 1949 si elevò come un gigante, fu protagonista eroico di quel Giro, conquistò la maglia rosa nella nona tappa a Udine, dove battè in volata Pasotti e Pezzi. La difese da leone per otto giorni per mollarla, com'era logico, in quell'epica Cuneo-Pinerolo che Coppi recitò alla sua maniera lasciando Bartali a 11'52" e Martini, terzo, a 20'04" e che condannò Leoni a concludere il Giro con un ritardo di 39'01" ma ancora in quarta posizione.
Campione di rango, uomo dallo stile inconfondibile, fisicamente dotato di una bellezza adonica, era definito il "Tyrone Power in bicicletta", conquistava tifosi e tifosine. Una di esse, una graziosa ragazza fiorentina trasferita a Milano per studiare canto, Maria Luisa Cioni diventerà sua moglie il 30 ottobre 1947.
Qualche rimpianto lo turbò per i traguardi mancati. Come quello del Giro di Lombardia che, per due volte lo vide al posto d'onore, nel '39 dietro Bartali e nel '48 dietro Coppi. S'amareggiò soprattutto per non essere stato selezionato nella Nazionale che nel 1949 disputò il mondiale ancora in Danimarca dove dodici anni prima aveva indossato la maglia iridata. Ma in azzurro non riuscì mai a dare la misura delle sue qualità: due ritiri ('47 e '50) e 8° nel '46.
Dopo aver avviato un negozio di ciclismo a Milano, alla fine del '51 chiuse la carriera agonistica per seguire con molta riservatezza il ciclismo. Divenne manager di sua moglie soprano acclamato e scritturato dai maggiori teatri italiani ed europei.
Pareva un uomo senza problemi e felice, quando il 19 ottobre 1970 si recò da un cardiologo a Massa per sottoporsi ad una visita di controllo: un infarto lo uccise nella sala di attesa a soli 53 anni.
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