Gianni Motta e il "misterioso" guaio alla gamba sinistra

Quanto avrebbe potuto vincere senza il "misterioso" guaio alla gamba sinistra che condizionò riduttivamente la sua carriera?
A questo interrogativo non troveremo soluzione. Nessuno può immaginare le sue sofferenze, i suoi pianti nascosti, anche e soprattutto per la rabbia e il senso di impotenza dopo aver consultato decine di specialisti.
La via crucis di Motta dai medici era cominciata all'inizio del 1967, un anno dopo essersi aggiudicato, perfino con spavalderia, un severo Giro d'Italia.
Fu sul punto di farsi operare per "miopatia", questa la diagnosi di un illustre traumatologo toscano. Ma non era convinto e indusse un collaboratore dello specialista a raggiungerlo a Montecatini dove si trovava per "le acque". Il dolore insopportabile e il conseguente gonfiore alla coscia sinistra insorgevano soltanto in bicicletta, dopo un certo sforzo, poi sparivano. Allora montò in bicicletta e dopo un paio di scatti invitò il medico a mettere in opera il particolare apparecchio diagnostico. Nel muscolo non c'era sufficiente irrorazione. Un successivo esame a Milano rivelò "una strozzatura e una lesione traumatica alla arteria iliaca sinistra".
Nel 1965 era caduto in una tappa del Giro di Romandia, mentre si trovava in fondo al gruppo e la ruota di un'auto al seguito gli era passata sul ginocchio, costringendolo anche a rinunciare al Giro d'Italia. I medici milanesi quasi non credevano che Gianni avesse potuto correre e vincere in quelle condizioni. L'operazione era indispensabile, ma avrebbe dovuto chiudere la carriera.
Era disperato e su consiglio del dottor Modesti si rivolse al professor Cevese, un chirurgo di Padova, che gli assicurò che in tre mesi se la sarebbe cavata.
Si procedette al by-pass e fu un miracolo: cinquanta giorni dopo vinceva un circuito a Urbisaglia e una settimana dopo il Giro dell'Umbria. Era il 1970, quattro anni di pene, dopo aver maturato più volte il ritiro e appunto per questo già avviato un'attività commerciale, e si ritrovava competitivo. Purtroppo la sua testa era spesso rivolta, anche in corsa, all'altra attività. Luciano Pezzi sovente lo scuoteva, ma quel malanno lo aveva angosciato inducendolo a pensare al futuro. La sua non fu probabilmente scarsa professionalità, come invece gli fu rimproverato, e le vittorie furono sempre meno fino al ritiro avvenuto nel 1974 a soli 31 anni.
Articolo inviato da: Paolo Mannini (Firenze)
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