Storia di Gianni Motta

Conosciuto come "Il biondino di Groppello d'Adda", nasce in realtà a Cassano d'Adda, in provincia di Milano il 13 marzo 1943.
Atleta longilineo, scalatore e passista, stilista, con una classe purissima ha avuto un folgorante avvio di carriera. La sorte, un carattere particolare e non particolarmente disciplinato, oltre a un malanno a una gamba che lo ha notevolmente handicappato sono stati gli ostacoli maggiori per la realizzazione di un palmares ben più brillante di quello pur sostanzioso che è riuscito a mettere al suo attivo.
Ottiene la sua prima vittoria a sedici anni, nella categoria allievi. Gareggiava per il G.S. Faema di Milano e il suo mentore era Vittorio Seghezzi. Alla Faema rimase fino al salto nei professionisti avvenuto nel 1964, grazie a Colnago. Aveva lavorato fino a diciannove anni, dai dieci ai quattordici come pantofolaio, poi come pasticciere alla "Motta". Una sessantina di affermazioni nelle categorie minori, un titolo italiano allievi, il Giro della Valle d'Aosta e la San Pellegrino a tappe: mai tuttavia la maglia azzurra ai mondiali, ma solo per punizione avendo rifiutato la Cento chilometri a squadre e la Corsa della Pace.
Irrequieto e anticonformista fuori corsa, grintoso e spavaldo in gara; il colpo di pedale facile ed efficace, le impennate brucianti, i guizzi irresistibili agli arrivi gli propiziarono una grande massa di ammiratori antagonisti di quelli del suo contemporaneo Gimondi con il quale ha dato vita a una rivalità fonte di scontri di grande interesse. Cosa che gli impedì di far parte per un paio d'anni proprio della Salvarani, la squadra di Gimondi. Ma i rapporti tra i due non si aggiustarono. Anzi, la decisione del c.t. Defilippis di escluderlo dalla nazionale del '73 a Barcellona venne interpretata come la mossa giusta per spingere Felice, senza la preoccupazione per l'assenza del rivale, alla conquista della maglia iridata.
In occasione di un altro campionato mondiale, nel '67, fece scalpore sottoponendosi a una preparazione inconsueta e stressante da parte di un medico-mago, il dottor De Donato; si presentò preparatissimo sul Circuito di Heerlen ma, subendo il peso totale della corsa, nella volata finì soltanto 4° dopo Merckx, Janssen e Saez dando vita a una polemica bruciante.
A 21 anni aveva già alle spalle un ricco palmares con 8 vittorie stagionali tra le quali il Giro di Lombardia, il Trofeo Baracchi (in coppia con Fornoni) e un quinto posto al Giro d'Italia; nella stagione successiva alle vittorie aggiunse un eloquente terzo posto al Tour de France (dietro Gimondi e Poulidor) che annunciò il trionfo nel Giro d'Italia del '66 e quello del Giro di Svizzera del '67.
Non seguirono altre grandi prove nelle corse a tappe e le sue vittorie, pur se numerose, non furono più di gran risalto. Di rilievo i quattro successi nella Tre Valli Varesine e i tre nel Giro dell'Emilia, anche se una corsa come la Milano-Sanremo gli è sempre sfuggita e lo ha visto per due volte secondo ('67 e '72)
Il 1974 è la sua ultima stagione anche se due anni dopo la fine della carriera, nel 1976, fece un'apparizione nel Giro delle Puglie che però non ebbe seguito.
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