Storia di Silvio Pedroni

Silvio Pedroni (per gli amici "Pelu") è stato fra i più grandi corridori del ciclismo cremonese. La nascita di Silvio, all'anagrafe di Castelverde, è datata 24 gennaio 1918. Mamma Adele ha sempre asserito che suo figlio era nato il 23 ed era stato l'impiegato comunale a sbagliare. In base a questo disguido, Silvio ha sempre festeggiato due volte il compleanno: il 23, come voleva mamma Adele ed il 24 come era scritto sulla carta d'identità.
Silvio in sella era un ciclista perfetto: alto 1,78, peso forma 72 kg: agile nella pedalata (50x16/15), potente in salita, era considerato un passista-scalatore fra i migliori d'Italia. Quando pedalava a cronometro, gli si fosse appoggiato un bicchiere d'acqua sulla schiena non ne sarebbe traboccata una goccia; in salita assomigliava ad un angelo, quando si alzava sui pedali sembrava voler salire in cielo.
Silvio iniziò a correre con il Gruppo Rionale Fantarelli (di estrazione fascista) che aveva soppiantato il Ccc 1891; ed in breve esplose nella sua esuberante potenza, vincendo un pò ovunque. Nel 1938 il "Fantarelli" vince il titolo italiano a squadre per quartetti con Silvio Pedroni, Silvio Gosi, Gino Capelletti e Franco Ferrari. L'anno dopo, ancora Pedroni guida il quartetto, completato da Silvio Gosi, Gino Cappelletti e dal castelleonese Guerrino Valesi. Il terzo titolo tricolore a squadre Silvio Pedroni lo conquista nel 1940 con Celso Marini, Giuseppe Pessina e Luigi Pelizzoli. Completa il poker per il G.S. Fantarelli nel 1942, con Gino Capelletti, Luigi Pelizzoli ed Alfo Ferrari (ancora Allievo) che debutta per sostituire Celso Marini chiamato in azzurro per Italia-Germania. La carriera di Silvio è strepitosa, pur non essendo veloce: è il classico corridore 'vinci per distacco o sei l'eterno piazzato'. Ai cinque titoli italiani di cronometro a squadre, all'argento ai mondiali dilettanti di Reims, al 18° posto alle Olimpiadi di Londra (1948) ed al quinto ai mondiali dilettanti di Valkenburg, vanno aggiunti altri traguardi importanti. Per esempio le due preolimpioniche di Varese e Bassano del Grappa, successi di rilievo come Chignolo Po, Bergamo, Salsomaggiore, Forlì, Verona, Empoli, Giro di Lucca, il Trofeo Gardiol dove batte Pasqualino Fornara e Petrucci, la Milano-Tortona su Crippa e Rossello. Pedroni vince anche all'estero: il G.P. "Aque Vive" a Ginevra, e due volte in Marocco, a Rabat e Casablanca. Nella tournée di tre mesi in Argentina si aggiudica la terza tappa alla Mille Miglia, arrivando solo a Tendil. Ancora in Argentina il vistoso successo a Santa Fè. Nella sua provincia non c'è paese dove non vinca: a Piadena, Coppa Scrivanti, giunge solo, con 14' di vantaggio. La guerra gli spezzò la carriera, che però Silvio riuscì comunque a recuperare in parte. Nella sua città si impone subito nel 1946 sul circuito di Piazza Castelleone e nel Grand Prix "Biancorosso" sul Circuito degli Assi (viale Trento Trieste-Via Dante). E nel 1949 (a 31 anni) passa professionista alla Frejus di Ferdy Kübler, ma al Tour de France è Fiorenzo Magni che lo vuole ed il "Citì" Alfredo Binda lo convoca con Alfredo Martini, Cerami, Ausenda, Luciano Maggini, Paverelli: è la nazionale "B", chiamata "Cadetti". A convincere Magni sono state le buone prestazioni del cremonese, 7° alla Milano-Torino, 10° nella Milano-Sanremo, 10° al Giro d'Italia (2° nella tappa da Montecatini a Genova, con fuga a tre vinta da Vincenzo Rossello su "Pelu", 3° è Vittorio Rossello). Pedroni in Francia si rivela un gregario eccezionale per Magni (che poi lo porterà nella sua squadra la "Guerra"), ma Silvio in una caduta rovina sulla ghiaia, riporta profonde escoriazioni e deve sottoporsi all'applicazione di alcuni punti di sutura al cuoio capelluto. Arriva a Briançon, ma deve tornare, bendato come una mummia, a Castelverde. Nel 1950 è ancora brillante al Giro d'Italia, dalla seconda tappa porterà la maglia bianca fino a Roma, dove in rosa giungerà lo svizzero Hugo Koblet: è l'anno Santo e Pio XII accoglie i girini in Vaticano. La maglia bianca benedetta dal Santo Padre, Silvio la porta a Castelverde e la dona al parroco don Felice Soregaroli. Nella tappa con arrivo a Firenze, per accordi fra i tre fuggitivi, vince Martini, sullo svizzero Shaer e Pedroni. Al Tour Pedroni è in maglia tricolore con Bartali, Magni, Corrieri, Pezzi, De Santis, Lambertini, Salimbeni, Brignole e Biagioni. Bartali, aggredito dai francesi sull'Aspen (avrebbe racontato di una vecchia che lo avrebbe inseguito brandendo un coltello, di un'auto nera che avrebbe cercato di speronarlo...) impone alla nazionale italiana il ritiro, con Magni in maglia gialla: si torna a casa! Magni mette la maglia gialla nella valigia e Pedroni, suo compagno di stanza, piange. Nel 1951 al Tour de France Silvio, per soli 30 metri non riuscì a vestire la maglia gialla nella prima tappa, la Metz-Reims. Fuga a quattro, prima del velodromo Pedroni (che velocista non è) tenta l'allungo, ma gli avversari lo riagguantano appena prima del velodromo, dove vince lo svizzero Rossi, sui francesi Redolfi e Bouin e "Pelu" è quarto... e giallo di rabbia. La nazionale è composta da Fausto e Serse Coppi, Bartali, Magni, Carrea, Corrieri, Biagioni, Lambertini. Le simpatie di Coppi sono per lui: "Quando ho Pedroni vicino o davanti in salita - dice Fausto - mi sento in paradiso". Ma nella tappa che porta ad Agen, per una bevuta di latte freddo, Pedroni si prende disturbi intestinali che lo tengono tutta la notte in bagno. Al mattino, viso cadaverico, riparte, ma non riesce a concludere la tappa perchè ormai è senza energie.
Nelle ultime stagioni è con Fiorenzo Magni prima alla Ganna (1953) e poi alla Nivea (dal 1954 al 1956). Nel 1957 smette di correre e intraprende per un breve periodo l'attività di direttore sportivo.
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