Un italiano conquista il Tour de France: Ottavio Bottecchia

Ascoltando i resoconti delle imprese sportive, nel bistrot fumoso, la sera dopo il lavoro, Ottavio si appassiona di ciclismo: lo affascinano il mito di Desgrange, il signore del Tour, e soprattutto i fratelli Pelissier, Henri e Francis. Quelle vicende, entrate nella leggenda, hanno avuto l'effetto di stregare l'emigrante veneto in terra di Francia. Così Ottavio Bottecchia decide di fare il corridore. Ci mette tutto il suo impegno, la sua tenacia, la sua ferrea volontà per sfondare. Tenace lo è sempre stato, costante anche: in guerra aveva promesso che avrebbe fatto prigioniero un ufficiale austriaco e ci era riuscito e s'era meritato una medaglia al valor militare. All'inizio non smette di fare il muratore, ma all'alba e alla sera corre in bicicletta più che può.
La domenica partecipa alle prime corse per dilettanti. E ne vince diverse, questo veneto taciturno che preferisce stare ad ascoltare piuttosto che parlare. E' deciso a fare il gran salto e si dedica al ciclismo. Torna in Italia, nel momento in cui Mussolini sta prendendo il potere. Da dilettante si fa subito onore, vince il giro del Piave, poi la Coppa della Vittoria, il Giro del Veneto, la Coppa Gallo, il Giro del Grappa, non ha intenzione di fermarsi e passa al professionismo. Gli esordi sono oscuri, corre e si batte in molte corse, tuttavia nessuno lo conosce, sulle gazzette nemmeno un cenno. Ma arriva il giorno di gloria in una Milano - Sanremo, la classica di primavera. Sul Turchino va in testa, si invola Ottavio Bottecchia. Dalla cima del Turchino si tuffa nella discesa, ma lungo il mare, sulla via Roma di Sanremo viene ripreso dagli inseguitori. Dopo la corsa, lui è felice nonostante tutto, entra in un bar tabaccheria, gli avventori lo guardano ma non lo riconoscono, lui acquista una cartolina illustrata per ricordo. Al Giro dell'Emilia non gli va meglio, sembra perseguitato dalla sfortuna, cade spesso. Un giorno gli presentano un signore attempato, Luigi Ganna, il vincitore del primo Giro d'Italia nel 1909.
L'incontro con Ganna segnerà la carriera di Bottecchia, una carriera sfolgorante quanto breve finita tragicamente con la misteriosa morte, su una modesta rampa vicino a Gemona del Friuli, durante un normale allenamento. Nel 1923, a Bologna, dove si era fermato il Giro, Bottecchia (a quel punto leader della classifica degli isolati) fa la conoscenza con un personaggio, Aldo Borella, un italiano residente in Francia incaricato di reclutare corridori italiani per il Tour. L'accordo nasce in un bar, Borella capisce che il veneto ha della stoffa: l'ha seguito al Giro, il suo carattere taciturno lo conquista. Lo ingaggia con una stretta di mano, anche se resta deluso perché Bottecchia, alla domanda se abbia mai fatto il gelataio, risponde: "No, sior, sono stato muratore e carrettiere".
Nella prima tappa del suo primo Tour Bottecchia arriva secondo e per i francesi è "Botescià". Finiva il suo anonimato. Conquista la maglia gialla e la difende sul Tourmalet. Al termine è secondo dietro Henri Pelissier, e al traguardo di Parigi Botescià capisce di aver fatto qualcosa di importante, di grande. Gli offrono contratti per riunioni in pista, Bottecchia comincia a vedere molti soldi, al termine di una riunione al Velodromo Sempione, gli comunicano che sono state raccolte sessantunmilasettecentoventicinque lirette. Sono i denari che gli serviranno per la casa che sognava. I due anni, il 1924 e il 1925, sono quelli della celebrità e della definitiva consacrazione di Ottavio Bottecchia, che vince uno dietro l'altro il Tour: la Francia, il mondo sono ai suoi piedi. In quel periodo diventa papà. Sono anni fastosi per Bottecchia che riesce a mettere in piedi una fabbrichetta di bici che portano il suo nome.
Due anni più tardi però, ed esattamente il 3 giugno 1927, lo trovano a terra, agonizzante, accanto alla sua bicicletta, sulla salitella vicino a Peonis, una frazione di Trasaghis a cinque km da Gemona: lo trasportano all'ospedale di Gemona, gli fanno tutte le cure del caso, dodici giorni dopo la vita di Bottecchia si spegne. Solo un anno prima era morto in un altro incidente il fratello Umberto. La morte di Bottecchia rimane un misterioso enigma, si tinge di giallo. Archiviata come incidente, vent'anni più tardi un contadino di quei luoghi sul letto di morte confidava di essere lui il responsabile della morte di Ottavio Bottecchia: "L'ho ucciso io, lui era entrato nel mio campo a prendermi l'uva. Avevo un bastone in mano e lo colpii violentemente". Ma un po' di tempo dopo salta fuori una inattesa rivelazione da un ospedale di New York, dove un tizio, colpito da tre coltellate nell'addome infertegli ai docks, confessa di aver ammazzato lui i due fratelli Bottecchia "su ordinazione". Il mistero continua, irrisolto.
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