Gasparotto Enrico: sfortuna, ora basta

di Roberto Sardelli

Un debutto tra i professionisti in uno dei team più prestigiosi. La vittoria che non si fa attendere e che arriva in una tappa delle Vuelta Cataluña, gara valida per la challange del Pro Tour. Per concludere, la maglia tricolore conquistata in una splendida volata sul traguardo di Montesilvano, davanti a Filippo Pozzato. Vincere il campionato italiano voleva dire possedere una maglia da esibire per un anno intero. Da quel momento, tutti si sarebbero accorti di lui. Impossibile passare inosservato. Tutto questo, a soli ventitré anni, con tutta la carriera davanti.
Sembrava questa, la bella favola di Enrico Gasparotto, corridore friulano di Casarsa della Delizia, provincia di Pordenone.
Improvvisamente però, come in tutte le belle favole, ecco che qualcosa si rompe. All'inizio, sembra niente di grave, un semplice calo fisiologico, dovuto forse anche al peso di una maglia tricolore che rischia di diventare ingombrante. Poi, ci si mette di mezzo anche la salute. Il debutto nella nuova stagione viene di gran lunga posticipato ed ogni volta, incidenti e ricadute, compromettono quello che sino a pochi attimi prima poteva apparire come il rilancio definitivo.
«Il mio debutto tra i pro, non poteva andare meglio. L'anno scorso, già ad aprile stavo molto bene ed ero riuscito ad andare forte sino a giugno, conquistando il titolo di campione italiano. Da lì, anche il mio approccio alle corse è sicuramente cambiato. Non ero più un anonimo corridore, indossavo la maglia tricolore, alle partenze la gente mi chiedeva autografi. Quando lo speaker annunciava il mio nome, ero applaudito e festeggiato. Siccome sono una persona sensibile, mi sono sentito subito responsabilizzato, forse troppo. Facevo fatica, all'inizio, a rendermi conto di quello che stavo vivendo. Piano piano però, sono riuscito ad adattarmi e già a settembre, ma soprattutto ad ottobre, è ritornata anche quella condizione che mi aveva consentito gli ottimi risultati della prima parte di stagione. Il decimo posto alla Parigi-Tours mi dava la convinzione che la fase di stallo fosse conclusa».
Poi però, durante l'inverno...
«È iniziata la fase più nera, che ha precluso gran parte del 2006. La maglia tricolore indossata soltanto in quattro occasioni e tanta, tanta amarezza».
Puoi raccontare che cosa ti è successo?
«Improvvisamente, a novembre, per cause che non conosco, ho contratto la mononucleosi. Sono stato costretto a stare fermo sino a gennaio, senza più toccare la bici ed evitando qualsiasi attività fisica. La convalescenza è stata lunghissima: sono rientrato alle corse soltanto ad aprile ma, a causa forse del fisico ancora debilitato, ho preso la polmonite. Altro stop improvviso che si è protratto sino a fine giugno. Sono tornato in gruppo al campionato italiano svoltosi a Gorizia, nel mio Friuli».
Una forma virale piuttosto forte. Spesso è capitato che altri tuoi colleghi si siano accorti di aver contratto la mononucleosi, soltanto dopo esserne guariti.
«Proprio così. Se ne accorgevano solo dopo, con le analisi del sangue, segno che si trattava di una forma leggera e a quel punto il peggio era già passato e il recupero diventava veloce. Io sono stato molto sfortunato e la forma della mia malattia è stata tra le più subdole. Ho avuto diversi giorni di febbre alta e il recupero è stato molto lento e anche costellato di effetti collaterali, quali la polmonite».
Lo scorso inverno è stato pieno di dubbi e di amarezze quando avresti dovuto goderti invece il sogno della maglia tricolore.
«Soprattutto il primo ritiro a Terracina è stato davvero difficile dal punto di vista psicologico. Vedevo i miei compagni che uscivano con le bici e poi, terminati gli allenamenti, via con i massaggi. Io invece, restavo da solo in albergo, nessuna attività fisica, salvo qualche tuffo in piscina e poi ore e ore di playstation. Ma se fossi rimasto a casa, sarebbe stato peggio. Bene o male, lì restavo sempre in mezzo al mio mondo, sentivo la solidarietà e l'amicizia dei miei compagni. Anche i tecnici della Liquigas e tutto lo staff mi hanno sempre esortato a stare tranquillo e ad avere fiducia. Situazioni che sono state importanti nel consentirmi il mio definitivo recupero».
La vittoria al Cimurri ha poi rappresentato l'importante punto di svolta.
«Questo sicuramente. Io però avevo avvertito buone sensazioni già a fine luglio, ad Amburgo. Anche lì però, sono caduto. Dopo ho fatto l'Eneco Tour e sentivo di star bene: non poteva però mancare l'intoppo ed ecco che arriva la tracheite. Per concludere con le disavventure, altra caduta; questa volta al Giro di Polonia con due costole incrinate. Fortuna che è arrivata la vittoria al Cimurri, che ha significato tantissimo per me e che mi consente di guardare fiducioso alla prossima stagione».
Si profilano nuovi importanti arrivi alla Liquigas. Pensi di godere del medesimo spazio?
«La squadra ha fiducia nei miei confronti. È chiaro che con l'arrivo di corridori come Pozzato e Fischer saranno necessari opportune strategie. Resta però il fatto che la Liquigas ne esce sensibilmente rafforzata e che potrà venirci più facile raggiungere la vittoria. L'importante sarà essere sinceri e leali tra di noi, ma su questo non ho il minimo dubbio».
Quale sarà il tuo programma? Ti vedremo al via delle classiche?
«Credo che la Amstel e la Liegi - i cui strappi ho provato durante l'Eneco Tour - siano corse adatte a me, ma penso che dovrò rimandare di un anno il mio debutto in quelle gare. La bozza di programma che mi è stata preparata, prevede che io arrivi in buona forma alla Tirreno e alla Sanremo, per concentrarmi poi sul Giro d'Italia. Sarà la mia prima grande corsa a tappe e sono curioso di misurarmi in quel contesto».
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