Alessandro Bazzana fa l'americano

Da un anno corre e vince in America: "All'inizio è stata dura ma noi bergamaschi siamo tosti. La cosa migliore? L'atmosfera: per la gente ciclismo non fa rima con doping. E' una festa"

Gazzetta dello Sport

MILANO, 17 gennaio 2008 - Gli speaker l'hanno eletto "The Italian stallion", lo stallone italiano. I colleghi lo chiamano "Bazz", che significa niente, ma potrebbe sottintendere tutto. Gli amici se la sbrigano con "Alex". Qualche tifoso ha esagerato regalandogli un "Rocky". Alessandro Bazzana, 23 anni, bergamasco di Cene, corre negli Stati Uniti. Perché? "Fine del 2006. Il rivenditore della Nalini, azienda di abbigliamento tecnico per il ciclismo, cerca un corridore italiano che ne possa essere 'testimonial' negli Stati Uniti. Mi chiedo: perché no? All'inizio mi rispondo anche: ma che ci vado a fare? Non so una parola di inglese, non conosco una squadra, anzi, neanche un corridore, ho paura".
Poi?
"La curiosità è più forte della paura, il mistero mi fa scattare la voglia di provare, scoprire, esplorare. Perito elettrotecnico, per due anni mi alleno la mattina e vendo detersivi il pomeriggio con un furgoncino da fruttivendolo. Così decido: piuttosto che fare un altro anno da dilettante in Italia, tento di viverne uno da professionista in America. Salgo su un aereo alla Malpensa e il 3 gennaio 2007 scendo a Los Angeles, trovo un contatto con il Team Successfulliving e ricomincio a vivere".
Dura?
"Durissima. Ma noi bergamaschi siamo tosti, e noi corridori bergamaschi ancora più tosti. Piano piano, giorno dopo giorno, la vita si semplifica: esco di casa, monto sulla bici, mi alleno, parlo con i compagni, guardo la tv, imparo l'inglese. Trovo casa a Ventura, in California, a 3 chilometri dall'oceano, a 10 dall'Hotel California, un manicomio diventato scuola superiore, quello cantato dagli Eagles".
Com'è Ventura?
"Una cittadina di 100 mila abitanti, tutta fatta di villette e giardinetti. Nell'appartamento abitano il mio team manager e la sua fidanzata, io ho una camera più il bagno con l'uso della cucina e il collegamento con Internet. Mattina allenamento, pranzo all'italiana con pasta, olio, sugo di carne made in Italy comprato al supermarket, e nel fine settimana le gare".
Come sono?
"Ci sono le gare dell'Uci, come quelle di Filadelfia, Lancaster e Rochester. Ci sono le gare a tappe, come il Giro della Georgia, il Giro dello Utah e il Giro del Missouri. C'è anche il Giro dell'Oregon: fantastico, si corre intorno a un vulcano spento, asfalto e cenere, a 2 mila metri di quota. Poi c'è il circuito americano, si chiama Nrc ed è fatto a criterium. A volte il venerdì c'è la crono, il sabato sera il circuito, la domenica la corsa. E c'è sempre una grande aria di festa. Festa popolare".
Cioè?
"I criterium sono due ore a tutta, anche a 60 all'ora. Bisogna avere non solo gambe, ma anche occhio e fegato. Il livello non è altissimo, c'è gente disposta a tutto: a volte, quando non vede neanche un buco per passare, spera di trovarlo chiudendo gli occhi. Comunque esordisco, studio, lotto, imparo, corro sui circuiti automobilistici di Laguna Seca, dove mi piazzo decimo, e quelli Nascar vicino a San Francisco, alla fine conquisto tre vittorie, tutte e tre in California".
Divertente?
"Divertente e stancante. Quando arriva il momento in cui non ce la fai più, rischi grosso. Io sono caduto e mi sono fratturato una clavicola".
E i compagni?
"C'è di tutto. Uno è figlio di un pezzo grosso della Coca Cola. Un giorno siamo andati a Las Vegas e su una limousine a noleggio abbiamo scorrazzato per la città. C'era una corsa con grandi ex. E chi trovo? Mario Cipollini. Mi sono messo a tifare. Lui ha vinto. Poi ci siamo conosciuti. Cipollini si muoveva con una tale disinvoltura da sembrare nato a Las Vegas. Sono stato allo stadio a vedere Los Angeles-San Francisco di baseball. E ho corso anche nel deserto, 45 gradi, 100 per cento di umidità, il via alle 5 del mattino altrimenti ci si scioglieva al sole".
Si campa?
"Nel 2007 ho guadagnato più di 20 mila dollari. Peccato che il dollaro non sia mai stato così basso. Nel 2008 conto di raddoppiare. Ma non c'è solo l'aspetto economico. È l'atmosfera a fare la differenza".
Cioè?
"In Italia, quando dici 'faccio ciclismo', ti dicono 'tutti dopati', e non è vero. Negli Stati Uniti esclamano 'che figata!'. I controlli antidoping esistono, la mia squadra ne aggiunge altri interni, ma non esiste la cultura del sospetto. Così si vive più in allegria, anche se la vita è 'on the road'. I trasferimenti sotto i 500 chilometri si fanno su un pullmino, quelli superiori in aereo. Ho contato quante volte nel 2007 sono salito su un jet: 38".
Adesso?
"Sono a casa, a Cene. Torno negli Stati Uniti alla fine di gennaio. Genitori e fidanzata non mi chiederanno più 'che ci vai a fare?'. E io non dovrò più bluffare con 'sistemo l'America e torno' ".

Marco Pastonesi
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