Gianni Motta

Nato a Cassano d'Adda (Milano) il 13 marzo 1943. Completo. Professionista dal 1964 al 1974, con 89 vittorie.
Sicuramente il miglior talento puro della grande generazione italiana degli anni sessanta. Gianni Motta, possedeva un poker di distinguo che i pur illustri colleghi suoi contemporanei non avevano: classe, coraggio, inventiva e completezza. Ad esaltare quelle qualità, interveniva nel "biondino di Groppello d'Adda" come da definizione a lui siamese fin da giovanissimo, un carattere spontaneo, venduto per difficile e contorto, quando in realtà era solamente non conformista. Voleva vederci chiaro il Gianni, e lo diceva magari con un fraseggio sgrammaticato, ma la sostanza era evidente. Passava per antipatico e la sua spavalderia non lo aiutava di certo, ma l'oggettività dei suoi valori, a distanza di quarant'anni è ancora lì, a gridare le sue grandezze e, diciamolo pure, le sue sfortune. Già, perché sul curriculum di Motta, giocò un ruolo notevole il dolore ad una gamba, nato probabilmente in seguito ad una caduta in Romancia, nel '65, dove un'auto al seguito, gli passò sul ginocchio sinistro. Anni dopo, al termine di peripezie e continue visite presso specialisti, alcuni dei quali completamente fuori rotta, gli fu diagnosticata una strozzatura e una lesione traumatica alla arteria iliaca sinistra. Era così evidente, che un intero staff medico, si chiese come avesse fatto a correre e vincere in quelle condizioni. Eppure lo aveva fatto, intingendosi di giornate luminose e, sempre o quasi, guardando in faccia gli avversari con fierezza.
Gianni Motta, era figlio di un agricoltore di Groppello d'Adda, una famiglia umile e laboriosa che lo indirizzò, tanto involontariamente quanto in sincronia coi tempi, a pensare presto al lavoro. Ed il giovane cresceva longilineo e volonteroso. A quattordici anni vantava già un'esperienza sui campi del padre e l'ingresso alla omonima azienda dolciaria per imparare e svolgere la professione di pasticcere. Per andare alla Motta, Gianni era costretto a sobbarcarsi chilometri e chilometri in bicicletta, incontrando così la passione per quel mezzo che lo faceva eccellere ad ogni confronto spontaneo con coetanei e più grandicelli. Era così bravo che fu subito segnalato ad una squadra come il G.S.Faema di Milano, una consorella giovanile dell'equipe professionistica, a quei tempi da considerarsi come la leader. In quel sodalizio Motta passò tutta la sua esperienza ciclistica prima di passare prof.
In quegli anni, il dominio del biondino, vissuto come traduzione di una bellezza stilistica e di un'efficacia da lasciare a bocca aperta, si aprì con tangibilità. Immediatamente i tecnici azzurri pensarono di fare di Gianni un riferimento, ma il ragazzino, intelligente, li fermò pagando quell'affronto per anni. In sostanza non si voleva spompare, perché aveva già capito che il ciclismo vero, quello che crea fama e sostanza, era solo quello dei prof. In particolare, Motta, non voleva correre quella 100 km a squadre che giudicava troppo pesante per le gambe di un giovane, accettando così di far nascere, in superficiali osservatori, la convinzione che al talento unisse svogliatezza. Gli furono precluse così le porte azzurre anche per i mondiali dilettanti su strada del 1963, prova alla quale avrebbe preso parte volentieri perché non la giudicava gravosa: in fondo stava passando al professionismo. Del Motta "puro" resta l'immagine di un atleta longilineo, scalatore, passista e stilista nel contempo: in altre parole un gioiello a cui tutto il mondo professionistico era proteso e non solo per la miriade di vittorie colte, comprese quelle mai bugiarde del Giro della Valle d'Aosta e nella San Pellegrino. Un episodio non di gara, ma dimostrativo delle qualità incredibili del "biondino di Groppello d'Adda" si consumò quando era ancora allievo. Imerio Massignan, allora uno dei migliori scalatori mondiali, stava provando il Muro di Sormano, la terribile salita che in quegli anni faceva parte del percorso del Giro di Lombardia, quando per strada incontrò il ragazzino biondo. Vedendolo indisponente alla sua ruota, scattò per togliersi il fastidio, ma il piccolo Motta non solo non si staccò, ma addirittura replicò, mettendolo alla frusta. Un match pari, ma uno dei due aveva 17 anni!
Il salto di categoria si concretizzò con la Molteni, nel 1964, e fu subito un boom. Motta era straordinario. La sua purissima classe favorì un folgorante inizio. Alla fine del primo anno aveva già collezionato otto vittorie... e che vittorie! Basta citarne tre: il Giro di Lombardia, la tappa di Biella al Giro d'Italia (chiuso al 5° posto) e il Trofeo Baracchi (in coppia con Fornoni). L'anno seguente non poté partecipare alla corsa rosa per quella caduta al Giro di Romandia che poi si rivelerà disastrosa per la sua carriera. Ciononostante, assorbì stoicamente l'infortunio e si presentò al Tou de France giungendo terzo, dietro Gimondi e Poulidor. Era il preludio alla sua vittoria al Giro d'Italia del 1966, vinto con spavalderia e senza nessun aiuto dettato da interessi sinergici. Quell'edizione della corsa rosa, mise veramente in evidenza un corridore superiore, bello da vedere e capace di tradurre la bellezza nell'efficacia. E dire che i suoi avversari si chiamavano Anquetil, Gimondi, Adorni, Zilioli, Jimenez, Bitossi, Balmamion, Taccone....
Irrequieto e anticonformista fuori corsa, grintoso e spavaldo in gara, Gianni Motta si fece la sua bella corte di tifosi e nacque da lì una rivalità con Gimondi che non si aggiustò mai. Rivalità che ebbe il suo punto più caldo nel 1967, quando Motta, già in preda ai suoi dolori alla gamba sinistra, preparò i mondiali di Heerlen in maniera inconsueta, sotto la guida del dottor De Donato e fuori dal novero della squadra azzurra. Poi, in gara, partì dopo pochissimi chilometri, favorendo la nascita della fuga decisiva, ma subì il peso totale della corsa e nella volata finale, cotto, finì soltanto 4°, dopo Merckx, Janssen e Saez. Di lì nacque una polemica bruciante.
Dopo la vittoria al Giro d'Italia '66, non seguirono altre grandi prove nelle corse a tappe e le sue vittorie, pur numerose, non furono più di gran risalto. Di rilievo i quattro successi nella Tre Valli Varesine e i tre nel Giro dell'Emilia. Una corsa che amava, come la Milano-Sanremo, lautamente alla sua portata, gli sfuggi sempre: finì due volte secondo, nel '67 e '72, ma, come detto sopra, il peso di quel doloroso disturbo alla gamba, giocò un ruolo enorme.
Quando, nel 1970, riuscì a risolverlo, ormai era concettualmente un ex: aveva speso risorse mentali ed economiche nella sua attività commerciale e il rapporto di concentrazione verso il ciclismo, non fu più quello che doveva essere. Inoltre, i 4 anni di attività ridotta e sofferente, pesarono non poco sul suo fisico. Il 1974, fu la sua ultima stagione, anche se due anni dopo la fine della carriera, nel 1976, fece un'apparizione al Giro delle Puglie.
Gianni Motta, passa così alla storia come bello e breve, ed anche se non poté raggiungere il palmares che valeva, resta agli occhi di chi scrive, un corridore verso il quale bisogna togliersi tanto di cappello: il suo talento era davvero spumeggiante.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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