Una storia di talento (Marco Pantani)

Da una parte dell'Italia, dove il caldo di quel luglio s'incrociava col traffico di una riviera più famosa che bella, Claudio, un corridore professionista, che un mese prima aveva chiuso il Giro d'Italia al tredicesimo posto, suo miglior piazzamento di sempre, si trovò a dover rispondere alle pressanti richieste di un giovane juniores, suo vicino di casa. "So che domani andrai provare la gamba su quel colle che mi dicono durissimo e dove ci fu un duello fra Merckx e Fuente. Posso venire con te?" - continuava a chiedergli il collega in erba. Claudio, che sapeva quanto quel ragazzino minuto dai capelli lunghi ma non fitti e con due orecchie che ricordavano quelle degli elefanti fosse bravo, non riuscì a dirgli di "no". Già se lo era trovato sulle strade e pur non vincendo come i suoi compagni di squadra le gare, riconosceva al giovincello, un talento superiore al comune. Tre mesi prima lo aveva visto schizzare via ai coetanei su una salita che tanto piaceva anche a lui, la Ciola, e ne era rimasto impressionato al punto di ricordarlo in ogni occasione l'allenamento incontrava una pendenza. La sera, dopo aver risposto affermativamente a quel ragazzo insistente, telefonò ad Alfio, suo collega professionista ed ex compagno di squadra, col quale usciva abitualmente durante il training settimanale. Si trattava di un corridore che, dieci anni prima, aveva fatto sognare la loro terra con significativi piazzamenti al Giro e delle belle vittorie nelle classiche nazionali. Uno che era verso la fine della carriera, più anziano di Claudio di un solo anno, ma ancor validissimo alfiere, perlomeno fra i ciclisti della zona. Nella telefonata, la novità del terzo elemento della sgambata che li attendeva il giorno successivo fu discussa, non già per un senso di scocciatura, bensì per provare le virtù di quel ragazzo, di cui lo stesso Alfio aveva conosciuto la bravura in salita e, magari, trovar modo di farlo impazzire di fatica. Insomma, i due professionisti si misero d'accordo per fare di quell'allenamento, una seduta di divertimento alle spalle di quel giovane: lo avrebbero attaccato a turno, costringendo il ragazzo dalle orecchie a sventola, ad un tour de force indimenticabile. Il teatro scelto, la salita del Valico del Barbotto, proprio quella che aveva spinto lo juniores vicino di Claudio, alla richiesta di partecipazione. Ed il giorno dopo, come da copione, i tre si trovarono sulle prime rampe del passo, col più anziano a scandire un'andatura fortissima. "Ce la fai a tenere questo passo" - disse Alfio al ragazzino. "Sì, sto bene, non ho problemi"- rispose il giovane. A quel punto, Claudio partì a tutta e, visto che il più anziano dei professionisti non sui muoveva, il bebè della compagnia, gli urlò: "Che faccio, lo devo andare a prendere?" "Certo, e me lo chiedi pure!?"- rispose Alfio. Il ragazzo con le orecchie a sventola, s'alzò sui pedali e in un battibaleno andò a prendere il fuggitivo, portandosi a ruota, non senza una bella fetta di fatica, il maturo prof. Neanche il tempo di guardare in faccia il ragazzino, che il ricongiungimento fu rotto da un attacco dell'ex speranza di quella terra. Il giovane, allora, si rivolse a Claudio con la medesima frase: "Che devo fare?" "Che domanda, vallo a prendere se ne sei capace!" - gli rispose con affanno il vicino di casa. Ancora una volta lo juniores s'alzo sui pedali e andò con facilità a riprendere quella gloria della zona. I due professionisti, scansando lo stupore, provarono un affondo sul tratto più duro della micidiale salita, ma il ragazzino senza dar segni di fatica o fastidio, non si staccò. "Ne hai ancora?" esclamò Claudio al giovane. "Certo che ne ho ancora" - rispose "orecchie a sventola". A quel punto, Alfio, richiamò le ultime forze come se fosse davvero al Giro d'Italia e ripartì, ma anche stavolta, non senza aver prima chiesto una specie di permesso a Claudio, il giovincello si riportò sul fuggitivo. In quegli istanti, Alfio, i cui occhi azzurri avevano scacciato la fatica con la luminosità dell'ammirazione, si rivolse al giovane camoscio e gli disse: "Prova a staccarci, in fondo alla cima non manca molto e se ti staccherai tu, noi ti aspetteremo in discesa". Nelle parole del più anziano, c'era la sensazione che ad una simile eventualità, non si sarebbe arrivati. Il ragazzo, chiamato in causa nuovamente, disse ai due che, nel frattempo, continuavano a spingere al massimo per metterlo in crisi: "Sentite, so bene che non mi credete, ma io ho ancora tanta birra e se vi stacco, spero ve ne abbiate a male". Come finì di parlare, il giovincello partì e, ai due professionisti, non rimase che vederlo pian piano allontanarsi dai lori sguardi intrisi di stupore e fatica. In cima al Barbotto, arrivò solo il ragazzo con le orecchie a sventola; gli altri due, da quel giorno, iniziarono ad applaudirlo in ogni occasione. Quel minuto ragazzo, si chiamava Marco Pantani. Era l'anno 1987.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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