Marco Pantani, mito perenne

Si dice che il tempo cancelli, ed in parte è vero, perlomeno scioglie il fatuo ed il superfluo, ma di fronte a fatti e persone che hanno incontrato e vissuto il profondo, accarezzando i pori delle luminosità più coinvolgenti le nostre facoltà, l'effetto delle lancette e dei giorni che scorrono, ottiene ben altri indirizzi.
Marco Pantani, è morto tragicamente per le percezioni che ci sono possibili sul tratto d'esistenza, ma il suo percorso terreno è stato troppo trascinante per non aprire le porte di una vita nuova, sconosciuta al razionale e alle debolezze umane, proprio perché superiore ed incancellabile. E' la vita delle coscienze in chi ha osservato fino a scolpirsi, è la presenza di costanti confronti ambientali, è l'ebbrezza che viene dagli strumenti di ricordo, è lo stimolo al racconto verso chi, troppo piccino o ancora nel futuribile dei genitori, non ha potuto vedere quell'alba scatenante. Marco, viaggia con noi che avvolgiamo il suo alone in un amore sempre crescente, stuzzica l'anima e quel rivolo di cuore di chi lo ha sfregiato e colpito, apre la riflessione agli scettici o a quelli che si sono resi schiavi alla dirittura senza oasi e curve, imprime sul suo immortale tempio, il peso di stringenti rimembranze.
Marco Pantani vive!
Le ricorrenze, gli anniversari del percepibile convenzionale, sono solo momenti di riflessione massificata, ma la sostanza di quella presenza, rifiuta naturalmente ogni data.
Il nostro cammino però, ci costringe alle traduzioni del razionale e del conosciuto, che slegano l'intenso immanente dell'io, dal quotidiano vissuto in strette di mano, in urli e parole, ed ecco giungere ad ognuno il punto di vista, l'elaborazione o, più propriamente, il tentativo di ricostruire, col tetro linguaggio del diritto, i tasselli d'un perché. Le traduzioni continueranno a lungo, forse per sempre. Avremo spazi per dire, per ricercare, per porre le lenti su intrecci e cammini, per mostrare i nostri occhi all'acuto dei nervi di chi vorrebbe seppellire i propri responsabili tormenti. Ma l'incontro con l'immenso campione, nella convenzionalità d'una data, non può che render a chi scrive, l'intensità di quel che Marco era e perennemente sarà: il suo distinguo di corridore antico, di uomo che viveva il mestiere trasformandolo in arte, con indissolubili tinte d'istinto.
Marco Pantani raccoglieva le sensazioni, le accarezzava e le inviava all'intorno con un idioma puro, lontano dai robot, dai concetti matematici, dai legami tarati sull'ego del profitto anteposto e sostituto dell'io. Lui era il talento che si divertiva a narrare aldilà dei parametri, che possedeva le voci e gli acuti dell'essere nato per aggraziare l'impervio, il difficile, l'incontro con ciò che per noi é lontano.
Marco era poesia, un insieme di versi che giungevano all'osservatorio razionale con le vestigia di quella follia che è l'unica lettura possibile per chi non possiede le armi per concepirla richiamo d'universi.
Quando col suo cammino si donava e veniva tradotto con le esaltazioni di chi sale sul carro dei vincitori, era triste: gli si toglieva l'intima voce del dare perché si è, lo si normalizzava come un dovere senza confini, disprezzandone il gesto, il messaggio. Marco stava al gioco con sorrisi amari, ben sapendo che sulla moneta degli uomini insistono rovesci terribili. Non ha mai pensato arrivassero a tanto: alla criminale quanto imbecille pretesa di rendere minimo il suo maestoso talento, in lui sempre vissuto come un luminoso insieme ancestrale. Per un artista supremo quella era una condanna a morte.
Immessosi sulle vie dello scoramento, pagando gli umani errori mostruosamente più del dovuto per le diversità di un'arte che gli veniva dal cuore, isolato da colleghi inzuppati d'invidia, che mai han avuto il coraggio di parlare e difenderlo com'era dovere, ha continuato a far poesia: nei rari momenti in cui saliva convinto sul suo pennello e nelle pur confuse frasi scritte, quando s'avviava a spegnere il corpo. Rileggerlo è d'obbligo, ed è un testamento per chi, come noi, non si fermerà a guardare col viso intriso di lacrime gli incontri col 14 febbraio o l'infausto e pesante 5 giugno.
Marco ci ha indicato la strada per capire tanti rovesci, atteggiamenti ed ipocrisie; ci ha acceso la luce sulle virgole confondenti di miseri figuri, cui nemmeno i lustrini potranno mai dare dignitoso mestiere. Lo ha fatto negli anni, non solo negli ultimi mesi. Va letto, per sentirci più pieni e più forti delle verità più vere, quelle che non hanno cittadinanza sui freddi e sempre meno credibili tribunali e che risuonano come una lenta asfissia per chi ha vissuto e continua a vivere un interno con la vocazione del carnefice.
Marco è da rivedere e interpretare, passo su passo, nell'assioma più completo delle sua ellisse di campione inimitabile e di uomo. Per questo, continua a far paura in chi s'è sporcato, ed anche da qui, capiamo quanto sia vivo.
Continuerà ad esserlo, confuso nei paesaggi, ed in ogni luogo in cui si sentirà l'immanente bisogno di guardare oltre i confini del naso. Con o senza biciclette osservabili.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
©2002-2023 Museo del Ciclismo Associazione Culturale ONLUS - C.F.94259220484 - info@museociclismo.it - Tutti i diritti riservati

I dati inseriti in archivio sono il risultato di una ricerca bibliografica e storiografica di Paolo Mannini (curatore dell'Archivio). Le fonti utilizzate sono svariate (giornali, libri, enciclopedie, siti internet, archivi digitali e frequentazioni sui vari Forum inerenti il ciclismo). Chiunque desideri contribuire alla raccolta dei dati, aggiunta di materiale da pubblicare o alla correzione di errori può farlo mettendosi in contatto con Paolo Mannini o con la Redazione.

Preferenze Cookies - Privacy Policy