Robert Hagmann

Nato a Bellach il 2 aprile 1942. Completo. Alto 1,75 m. per 66 kg. Professionista dal 1962 al 1970 con 14 vittorie.
Un grande talento deviato nella crescita e nella carriera da un padre mezzo padrone e mezzo tecnico, che ha stabilito per lui allenamenti e programmi, senza mai capire l'originalità e la forza di un figlio talentuoso e potenzialmente ribelle. Fatto sta che Robert, è spesso silenziosamente imploso, ed ha sicuramente rattrappito una carriera che poteva essere luminosa. Biondo stoppa coi capelli dritti come crine di una spazzola, aveva una facilità di pedalata e nessun punto debole evidente. La debolezza, gli veniva dall'asfissia che il padre imponeva come se lui fosse il ganglio di una catena di montaggio. Premesso che allenare a mo' di catena è da pessimi allenatori in quasi tutte le discipline sportive, nel caso del giovane Hagmann, era l'esatto contrario di quello che serviva alla mente del ragazzo e ne uscì un corridore con tante zone d'ombra psicologiche, nonché una fragilità mentale, che lo spingeva a correre poco.
Già a 19 anni, nel 1961, Robert Hagmann vinse da dilettante il Giro dei 4 Cantoni che vedeva alla partenza anche dei professionisti. L'anno successivo era già professionista nella Tigra. Nel 1963, vinse la corsa della Cote di Balmberg e finì 7° nel Tour de Suisse, ma paradossalmente, basò la sua corsa sulla regolarità quando lui era di natura attaccante. Lo voleva il padre. L'anno seguente, sempre al Tour de Suisse, fu autore di prestazioni contrastanti. Nella lunghissima e dura cronometro di Basilea (71 km), corse con esagerati rapporti agili e si beccò un ritardo tale da uscire di classifica. La paura del padre era che non reggesse la distanza. Fatto sta, che l'ultima tappa di quel Suisse, che si concludeva a Losanna, la più lunga coi suoi 260 chilometri, fu vinta proprio da Hagmann che la chiuse con straordinaria freschezza. In classifica chiuse 9°. In quella stagione vinse anche il Circuit du Jura a Dole e il GP di Strasburgo, fu 2° a Bad Schwalbach, 3° nella tappa più importante del Giro di Romandia, 4° nel Campionato Nazionale e 34° al Mondiale. Nel 1965 parve finalmente esplodere: vinse il Campionato Nazionale su strada, la tappa a cronometro di Sattelegg del Tour de Suisse (due giorni dopo si ritirò), finì 3° al Tour di Romandia, 3° nel GP di Lugano, 5° nel Campionato di Zurigo e nel Giro dei 4 Cantoni. Chiuse la stagione col 42° posto ai Mondiali di San Sebastian. Nel 1966 passò alla Ford France di Jacques Anquetil, che l'aveva individuato come un campione potenziale e visto quel che fece per Lucien Aimar, c'è da chiedersi che razza d'occasione abbia gettato al vento Hagmann. Già, perché la stagione dello svizzero fu incolore, col solo successo nella corsa della Cote di Eschenbach, il 4° posto nel Giro di Romandia ed il 10°, deludente, del GP delle Nazioni. Di fatto, l'appartenenza ad un grande team, scombussolò Robert, che subì maggiormente la pressione del padre e si perse nel grigiore. Nel 1967 tornò alla Tigra, ed ancora una volta parve esplodere. In quella stagione fece sua una classica come il Campionato di Zurigo, la tappa a cronometro del Giro di Romandia, finì 2° nella Parigi-Vimoutiers, in tappe del Tour de Suisse, del Giro di Romandia e del Giro di Catalogna, finì 3° nel Gran Premio delle Nazioni, nel Giro di Catalogna, nel GP di Lugano a cronometro e chiuse 10° il Mondiale del Nurburgring. Nel 1968 vinse una tappa al Giro di Romandia (chiuso 3°), poi in quel Tour de Suisse che era lautamente nelle sue possibilità, vinse tre tappe, ma gli sfuggì per una trentina di secondi il successo finale, che arrise a Louis Pfenninger, uno che non lo valeva di certo. Insomma, ancora una volta, quelle amnesie che rattrappivano sovente Robert Hagmann, avevano avuto il sopravvento, anche se di poco. Nell'anno, trionfò anche nella prova a cronometro del Chpt de Suisse e si piazzò 4° nel Giro del Ticino, 6° nel Campionato di Svizzera. Un'altra macchia di stagione: il ritiro al Tour de France. Nel 1969 e '70, Robert corse poco e senza risultati, le sue paturnie avevano preso il sopravvento e concluse alla chetichella una carriera che poteva essere realmente luminosa, perché di doti ne aveva davvero tante.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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