Luigi Sarti

Nato a Imola il 25 novembre del 1934. Passista veloce. Professionista dal 1960 al '64, con due vittorie.
La sua è una di quelle storie che fanno del ciclismo un vero e proprio romanzo, dove le pagine possono portare gli appena accennati, al ruolo che mai ti aspetteresti, certo meno evidente dei protagonisti principali, ma comunque di nota. Luigi Sarti, chi ha operato al Giro o raccontato il ciclismo degli ultimi anni, lo ha visto e lo ricorda come un massaggiatore tra i più bravi, forse addirittura uno dei primissimi a livello mondiale, per le risultanze ottenute dai corridori da lui massaggiati (tenuti da lui stesso in un libro aperto, ove sono riportati, con precisione maniacale, i curriculum nelle vicende ciclistiche comuni). Pochi però sanno che dietro quell'uomo anziano, ancora abile con le mani, si nasconde uno con il suo bel passato di corridore prof, che ha vissuto una delle più belle epoche del pedale. Certo un gregario, un grande acquaiolo come qualcuno lo definiva, però uno che può dire d'aver vinto e di aver aiutato grandi corridori, non con le mani sui muscoli, ma con le spinte i passaggi di borraccia, le tirate e perché no, pure quell'assistenza psicologica che i gregari svolgono, ma che non sempre viene loro riconosciuta. Iniziò nel 1949, correndo fra gli esordienti, ed oggi è ancora sulla breccia, perlomeno come riferimento di giovani massaggiatori. Arrivò fra i dilettanti nel '53 e ad un certo punto pensò di non riuscire a passare più fra i professionisti, visto che nemmeno la splendida vittoria nella classica Milano Bologna del 1959, gli consentì il salto. Poi, invece, grazie anche al lavoro del suo direttore sportivo Luciano Pezzi che, da gregario di Coppi al Tour, aveva deciso di aprire una nuova carriera sull'ammiraglia dilettantistica della Ghigi di Morciano, quella formazione dalle maglie bianche coi bordi giallorossi, nel settembre del '60, passò in massa fra i prof. Con Pezzi, che era un suo vicino di casa e quella Ghigi che tanto rimpiangiamo, il già 26enne Luigi, con le sue gambe da gladiatore, si spese fino a tutto il '62, anno della sua chiusura. In quel lasso non rimase certo a guardare. Due Giri d'Italia, di cui uno concluso, ed un Tour de France concluso, sempre al servizio dei capitani. Due vittorie nel '62, una in volata su Bruni e Nencini, nel Circuito di Cotignola e l'altra, la più famosa e importante, in una classica come il Giro di Reggio Calabria, in solitudine, dopo una sparata a 22 km dal termine, ed una difesa a denti stretti. E poi, nel '63, l'arrivo in Salvarani, al servizio di Pambianco e Ronchini. Ancora un Giro cloncluso e nel '64 l'arrivo in Cynar, al servizio di Balmamion, ed ancora un Giro stavolta non concluso. Qualche piazzamento e poi la scelta di smettere, a trent'anni. Chiusa la carrira, aprì un bar a Fontanelle di Imola, ma poco dopo un amico gli consigliò di frequentare un corso per massaggiatore, e lui col cuore verso il ciclismo, lo seguì con impegno. Nel 1971, con la Cosatto di capitan Panizza, l'inizio di una nuova avventura. Come oggi, con lo studio a Castelbolognese.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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