Vincenzo Meco

Nato a Curcumello di Capistrello (L'Aquila) l'1 ottobre 1940. Passista scalatore, alto m. 1,76 per kg. 72. Professionista dal 1962 al '67 con 2 vittorie. Un corridore importante, anche se lo direbbero in pochi, vista la poco corretta linea di fermarsi, quasi esclusivamente, sui palmares riconosciuti e riconoscibili. In realtà, attorno a Vincenzo Meco, il ciclismo e il suo proselitismo, continuarono a muoversi anche quando la sua carriera sembrava finita, non senza qualche delusione. Invece, proprio in quella fase, riqualificato dilettante, divenne un mito di riferimento per il movimento del grande paese dove era emigrato: il Canada. Passò prof nel 1962, nelle file della San Pellegrino diretta da Gino Bartali. Gli inizi furono ottimi. All'esordio, nel Giro di Sardegna, col gotha del ciclismo presente, finì 11° (con tre terzi posti di tappa), alla "Sanremo" chiuse 30°, al Giro di Campania 3°, indi ruppe il ghiaccio, vincendo a Lurago d'Erba la prova del Trofeo Cougnet. Arrivò al Giro d'Italia per far bene, ma ne uscì, pur da ritirato, come un idolo. Nelle prime 6 tappe, infatti, arrivò ben 4 volte tra i primi dieci e, in virtù di questi piazzamenti, proprio al termine della 6a tappa con arrivo a Fiuggi, indossò la Maglia Rosa. Il primato, anche per una caduta, durò una sola giornata, ma i risultati continuarono. Dopo un 6° posto nella 9.a tappa, arrivò la giornata più importante della sua carriera. Il 2 giugno nella dura frazione dolomitica Belluno-Moena, detta anche "Cavalcata dei Monti Pallidi", Meco tentò la fuga da lontano. Durante la tappa i corridori vennero sorpresi da una violenta bufera di neve, che obbligò Torriani ad anticipare l'arrivo in cima a Passo Rolle. Vincenzo controllò bene l'inseguimento e vinse con 3'27" su Baldini, Massignan, Defilippis, Taccone e Perez Frances. Grazie a quella tappa innevata come nessuna, che registrò oltre 50 ritiri (fra i quali anche Gaul) entrò nella storia del pedale. Due giorni dopo, riuscì a piazzarsi 6° anche nella frazione con arrivo in salita a Pian dei Resinelli, ma il giorno prima di Milano si ritirò. Da quel Giro, con l'osservatorio tutto per lui, grazie anche al dualismo col conterraneo Taccone, abilmente impreziosito dal genio video-narrativo di Zavoli e del suo "Processo alla Tappa", il giovane Vincenzo dagli occhi azzurri degli "Angeli delle Montagne innevate da percorrere in bici", non riuscì più a raggiungere i vertici. Continuò a correre onestamente, con qualche piazza (fu 3° nel "Laigueglia '64") e poi, durante la stagione '67, abbandonò la carriera da prof e l'Italia. Emigrò in Canada, a fare il boscaiolo e continuare a correre come "puro". Nel lavoro raggiunse il benessere e nel pedale vinse di tutto, comprese tre edizioni della Classique Montreal-Quebec, divenendo un mito per i canadesi. Oggi, a Montreal nord, dove vive con la moglie e i tre figli, si posa sull'agiatezza impossibile in Italia, va a sciare e si fa ancora 100 km al giorno su quello strumento che l'ha reso qualcuno.
Articolo inviato da: Maurizio Ricci (Morris)
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