Vittorio Seghezzi: "Io, gregario di Bartali, mi allenavo con Coppi"

«Il primo "Diavolo" nel ciclismo sono stato io. Chiappucci mi ha rubato il nome». Vittorio Seghezzi, ciclista professionista dal 1946 al 1957, lo dice con un orgoglio indomito, per niente scalfito dalle 90 primavere che ha attraversato. «I giornali dell'epoca titolavano: Il diavolo in corpo» rivela Seghezzi, che da qualche anno si è trasferito nel Novarese, a Castelletto Ticino. Aggiunge: «Non c'era niente che potesse fermarmi: ho pedalato per 42 km con la sella in mano nel Tour de France del 1948, quello entrato nella leggenda perché in quei giorni in Italia si vivevano giorni di tensione per l'attentato a Palmiro Togliatti».

Tempi eroici, in cui Seghezzi si guadagnò copertine e interviste per un'altra impresa: «Nel corso della tappa Losanna-Mulhouse mi si è rotto il pedale, ma ho continuato la gara per altri 80 km». Un tour memorabile, sotto tutti i punti di vista: «Allora correvo come gregario di Gino Bartali che vinse la corsa. Era il mio idolo». Non gli riuscì invece di entrare nella squadra di Fausto Coppi: «Mi allenavo con lui, eravamo amici. Però non mi volle come gregario. Mi diceva: "Tu sei un outsider". Era un bel complimento, ma in realtà ci ho rimesso: con lui avrei guadagnato più che in ogni altra squadra».

Nell'Italia divisa dal tifo per Coppi e Bartali, Seghezzi stava nel mezzo: «Coppi era un grande campione: quando alzava la gobba e arricciava il naso, salutava, se ne andava e lasciava tutti indietro. Come uomo, però, peccava di debolezza. Bartali invece andava forte: con acqua e vento, non faceva differenza».

Di quel mondo Seghezzi ha un po' di nostalgia: «Il ciclismo era fatica: prima di entrare tra i professionisti ne dovevi aver macinati tanti di chilometri. Oggi si paga, si entra in squadra, poi non si riesce a fare la prestazione e si cerca aiuto nei farmaci o nelle droghe. Non credo che qualcuno di questa generazione arrivi ai 90 anni, come ho fatto io». Che pure di vittorie e di belle soddisfazioni ne ha avute e tante. «Se devo pensare con il cuore, però, mi viene in mente il terzo posto nella tappa del Tour del 1948 che arrivò a Sanremo: volevo ben figurare, perché ad aspettarmi c'era quella che sarebbe diventata mia moglie, Anna».

Da professionista, Seghezzi ha indossato le maglie della Lygie, Edelweiss, Ganna, Bottecchia e ha corso per la Welter. Si è ritirato dall'attività agonistica nel 1958, ma non ha lasciato il ciclismo: come direttore sportivo della Faema ha fatto di Gianni Motta un campione. Dall'album dei ricordi spuntano anche volti e nomi celebri: «Ho sostenuto Totò sulla bicicletta nel 1948, quando girava il film "Totò al Giro d'Italia": non è che se la cavasse bene. Con me come attori c'erano anche Coppi e Bartali». Gli stessi nomi che ricorrono anche in altre foto: «Quella con Andreotti e quella in cui indossiamo le maglie dell'Inter e del Milan. Con noi c'erano anche Meazza e Girardengo. Era l'anno dell'alluvione del Polesine, il '51, e giocammo una partita per raccogliere fondi. Molto prima che le partite del cuore venissero trasmesse in tv, dove continuo a seguire il ciclismo». Tra i corridori di oggi, fa un nome: «Nibali mi dà speranza». Ma se pensa ad un campione, pensa a Marco Pantani: «Un vero arrampicatore. Il solo capace di riportare entusiasmo intorno al ciclismo. Aveva, però, un caratterino, si è lasciato ingolosire dai risultati facili. E lo sappiamo tutti come è andata a finire».

articolo La Stampa
http://www.lastampa.it/2014/07/22/edizioni/novara/amarcord-seghezzi-io-gregario-di-bartali-mi-allenavo-con-coppi-wcYdHrVbe7nR1wYcFdkjTI/pagina.html
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